D'altro canto il convenuto chiede il rimborso per l'utilizzo del veicolo lavorativo che il soggetto ha utilizzato, parzialmente, per uso personale.
Lavoro straordinario: tetto massimo
Affrontando la questione per punti, va primariamente sottolineato come il lavoro straordinario sia disciplinato dall'articolo 3 del decreto legislativo 66/2003, secondo cui tale tipologia sia un lavoro supplementare che deve essere retribuito sulla base di quanto previsto dagli accordi di contrattazione collettiva.
Laddove non intervenga la contrattazione collettiva del settore di riferimento, le norme da seguire sono:
· Tetto massimo di 250 ore annue
· Tetto massimo di 48 ore settimanali
Orbene, nel caso di specie vi sono due testimonianze contrapposte: da un lato vi è un ex dipendente della società convenuta che asserisce un orario minore di lavoro, distribuito in modo uniforme per tutti i dipendenti, mentre dall'altro vi è un amico di famiglia che, volendo capire la fattibilità o meno di intraprendere quel percorso lavorativo, ha accompagnato il ricorrente per un'intera giornata lavorativa.
Il giudice rigetta la richiesta, riconoscendo come non sia bastevole una giornata di lavoro per farsi un'idea precisa dell'orario di lavoro di un soggetto, tanto più se il lavoratore in questione è dotato di flessibilità lavorativa.
Allo stesso modo viene rigettata l'asserita illegittimità del licenziamento, una volta acclarato, con probanti dichiarazioni testimoniali, che il ricorrente ha preso a male parole il proprio datore di lavoro, dopo essere stato rimproverato per le condizioni pessime in cui teneva lo strumento di lavoro, minando in modo irreversibile il rapporto di fiducia che deve sempre intercorrere tra lavoratore e datore di lavoro.
Sebbene la testimone fosse la figlia del datore di lavoro, il rapporto parentale non implica necessariamente la non attendibilità di quanto affermato, non solo per il giuramento che deve essere prestato prima della dichiarazione, e le conseguenze penali nel caso di false attestazioni, ma anche per la serietà e la credibilità del soggetto in questione.
Da ultimo, il giudice rigetta anche la domanda riconvenzionale con cui il datore di lavoro richiedeva il rimborso del carburante che il lavoratore utilizzava per recarsi dall'abitazione al luogo di lavoro, in quanto gli era stato accordato di parcheggiare il mezzo di trasporto all'interno della propria abitazione. E' facile constatare che un accordo accettato per anni, senza precedente richiesta di rimborso, prima del ricorso posto in essere dal lavoratore licenziato, sia indice di fatti concludenti conclusi tra le parti, che non possono essere unilateralmente mutati.
Dott. Michel Simion
Giuridica.net
Scarica la sentenza n. 198/2018 del Tribunale di Verona