Per la Cassazione, l'assenza di una condizione non esclude la portata intimidatoria della minaccia

di Marina Crisafi - Può bastare anche dire "vedrai" per beccarsi una condanna per minaccia. Per integrare il reato ex art. 612 c.p. infatti l'assenza di una condizione non sminuisce certamente la valenza intimidatoria dell'espressione che va esaminata compiutamente dal giudice, unitamente al resto delle affermazioni e all'atteggiamento dell'agente. Così si è espressa la Cassazione con la sentenza n. 23592/2018 (sotto allegata), annullando con rinvio la sentenza che aveva scagionato una donna dal reato di minaccia nei confronti del proprio legale.

La vicenda

Nella vicenda, il tribunale di Brindisi aveva rigettato l'appello proposto dagli eredi di un avvocato, avverso la sentenza del giudice di pace che aveva assolto dal delitto di ingiuria (perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato) e da quello ex art. 612 c.p. una donna che rivolgendosi al legale aveva affermato "sei una sciacalla..ricordati che stai facendo la sciacalla con me, la tua vita sarà ridotta a sciacalla ..stai facendo il tuo lavoro come un cane...anzi ora chiamo i Carabinieri questo non me lo dovevi fare...non ti dovevi permettere vedrai!".

Le eredi dell'avvocato si rivolgevano quindi al Palazzaccio deducendo vizi di legittimità, per erronea, apodittica, contraddittoria motivazione e omessa valutazione di prove decisive, nonché per inosservanza di legge ed erronea applicazione dell'art. 612 c.p. Nello specifico, sostenevano che la minaccia non si riduceva alla sola parola "vedrai" ma all'atteggiamento aggressivo, posto in essere dall'imputata all'esito di un'udienza civile.

Minaccia anche al "condizionale"

Per gli Ermellini il ricorso è fondato. Troppo succinta la motivazione del giudice di merito nell'escludere che le frasi pronunciate dall'imputato non fossero idonee a limitare la libertà psichica della parte lesa. La "minaccia", espressa con le parole " ...vedrai ...", scrivono infatti dalla S.C., "non può ritenersi condizionata ad alcunchè, se non alla volontà stessa del soggetto che le ha pronunciate. L'assenza di una condizione non sminuisce certamente la valenza intimidatoria, che non è stata esaminata compiutamente dal giudice, in riferimento alla contestazione, contenuta nel capo di imputazione, indicativa, per un verso, di ulteriori affermazioni - e - sotto altro profilo, di un atteggiamento aggressivo, descritto con un fare minaccioso e collerico".

In effetti, la motivazione del tribunale non ha dato contezza esauriente alle doglianze, mosse dalle appellanti, circa la riconducibilità del delitto di minaccia al comportamento aggressivo, complessivamente considerato, tenuto dall'imputata, da valutarsi, altresì, alla luce degli effetti, riscontrati sulla vittima.

Da qui l'annullamento della sentenza. E la parola passa ora al giudice del rinvio.

Cassazione sentenza n. 23592/2018

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