Avv. Alessandra Donatello - Si trae spunto dalla lettura incrociata di alcune sentenze di merito, nonché dall'esperienza e dal confronto quotidiano con colleghi mediatori, per evidenziare un gap che pare emergere, ultimamente, in materia di mediazione delegata.
Mediazione delegata: le pronunce
Il riferimento è diretto, in particolare, all'ordinanza emessa dal Tribunale di Siracusa in data 15.05.2018 ed alla sentenza emessa dalla Corte d'Appello di Milano in data 10.05.2017.
In entrambe le pronunce viene più volte sottolineato, da parte del giudicante, che in caso di mediazione delegata, quest'ultima non può e non deve tradursi in un'asettica verbalizzazione della volontà negativa espressa dalle parti.
Il mediatore deve dare inizio in maniera sostanziale alla procedura, sul presupposto che la valutazione prodromica circa la "mediabilità" della questione sia già stata effettuata dal medesimo giudice.
Secondo la Corte d'Appello di Milano non si può ritenere assolto l'ordine del giudice se e nel modo in cui ciò si traduca in una veloce dichiarazione di non volontà espressa dalle parti.
Ciò confliggerebbe sia con la finalità dell'istituto, sia con il principio del giusto processo.
Su quest'ultimo profilo, viene rimarcata la circostanza per cui "la dilatazione dei tempi del giudizio a scapito delle relative esigenze di speditezza può trovare giustificazione esclusivamente nell'ottica di un tentativo di mediazione condotto in modo serio e coscienzioso, così da potersi effettivamente scandagliare ed approfondire la possibilità di giungere ad una soluzione concordata della lite".
I giudici concludono nel senso di ritenere che la condotta delle parti che, nelle fattispecie in esame, aveva svuotato di contenuto il procedimento di mediazione, degradandolo a mero adempimento burocratico, non può che comportare la carenza della condizione di procedibilità di cui all'art. 5 comma 2 D. Lgs. 28/2010.
Profili di criticità
Esposto sinteticamente il contenuto delle dette pronunce, ad avviso di chi scrive, è importante scandire gli elementi che ne emergono.
Da un lato, si ravvisa una condotta certamente non coscienziosa e addirittura contra legem delle parti coinvolte, comportamento che è stato sanzionato individuando il difetto della condizione di procedibilità dettato dalla norma di riferimento.
Dall'altro lato, appare un po' fumoso il ruolo che si vuole vestire addosso al mediatore: in particolare, ci si riferisce alla parte in cui entrambe le pronunce evidenziano che il mediatore e le parti devono iniziare immediatamente la discussione già in sede di primo incontro.
Questo aspetto determina diverse criticità.
Se il senso che va attribuito a tale valutazione è quello per cui il mediatore ancora prima di chiedere alle parti il loro intendimento circa la volontà di prosecuzione, debba effettuare l'esplorazione delle reciproche posizioni, entrando così nel pieno della procedura, salvo poi comunque arrivare a chiedere a queste ultime se è loro intendimento procedere oppure o no, pare caricarsi il professionista di una responsabilità che è bene chiedersi se sia corretto attribuirgli.
La responsabilità e la conduzione secondo coscienza all'interno della procedura di mediazione deve essere in primo luogo delle parti e dei loro difensori, anche perché nulla può il mediatore se la parte, anche al termine della più seria e determinata abilità mediatoria, si determina comunque per non proseguire.
Se, invece, quel che si chiede è che il mediatore ometta il passaggio, pure previsto dalla legge, in cui richiede alle parti le loro determinazioni circa la prosecuzione o meno, e a tal punto, a fronte del loro diniego stenda un verbale negativo, a parere di chi scrive potrebbero sorgere legittimi dubbi sul corretto svolgimento del proprio compito da parte del mediatore stesso, per lo meno basandosi su come è scritta oggi la legge.
Tale omissione come andrebbe letta in considerazione delle spese successive a cui le parti vanno incontro qualora si determinino per la prosecuzione?
Andrebbe, dunque, imposta la prosecuzione sul presupposto che la preventiva valutazione di mediabilità svolta dal giudice si sostituisce, di fatto, a quella delle parti?
Può il mediatore imporre tutto ciò sull'unica base della natura "delegata" della procedura?
Questi aspetti vanno letti con senso critico offrendosi come spunti di riflessione.
Se si può condividere pienamente il senso di utilità sociale della mediazione, della necessaria responsabilizzazione delle parti e dei loro difensori, della portata della preliminare valutazione effettuata dal giudice, dell'effettività della mediazione perché non si traduca in un inutile e fastidioso adempimento burocratico che la snatura e va esattamente nel senso contrario rispetto alla ratio pensata e voluta dal D. Lgs. 28/2010, allo stesso modo si ritiene che nel nostro ordinamento, non essendo esso di common law, non possano essere le pronunce giurisprudenziali a colmare lacune normative o a formare orientamenti che comportino una forzatura troppo evidente di quel che ad oggi la legge prescrive.
Il monito che giunge è chiaro e certamente condivisibile, ma solo un intervento normativo può aiutare chi effettivamente si occupa di mediazione a dare sostanza a tali richieste, senza profili di criticità.
Sarebbe auspicabile che la normativa di riferimento, a distanza di otto anni dalla sua entrata in vigore, a fronte dell'esperienza maturata, delle direttive europee che spesso indicano la strada eppure si trovano in contrasto con le disposizioni interne del singolo stato, che la materia - appunto - trovasse un valido aggiornamento e ascoltasse la voce di tutti gli operatori del settore e, da ultimo - ma non per importanza - che il ruolo del mediatore, in considerazione di tutto ciò, fosse rivisto e seriamente rivalutato.
Per avere sostanza bisogna dare sostanza.
Avv. Alessandra Donatello
avvocato e mediatore civile e commerciale
alessandra.donatello@gmail.com
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