di Valeria Zeppilli - Con la sentenza numero 15762/2018 qui sotto allegata la Corte di cassazione ha dato delle importanti delucidazioni ai professionisti del diritto che operano in ambito sanitario, chiarendo cosa debba intendersi per "causa a sé non imputabile" nei giudizi di responsabilità medica.
Nuove prove in appello
Si tratta, in sostanza, di comprendere quando è possibile ammettere nuovi mezzi di prova in appello, circostanza limitata dall'articolo 345, comma 3, c.p.c. ai casi in cui la parte dimostri di non averli potuti proporre o produrre nel giudizio di primo grado per causa a sé non imputabile.
La negligenza organizzativa non giustifica
Per i giudici, tale ultimo concetto deve essere limitato a circostanze estranee alla sfera di controllo dell'interessato e non può estendersi sino a ricomprendere la carenza organizzativa della parte.
Il che vale ancor di più nei casi che interessano una struttura sanitaria e il medico che vi opera, ove "la "buona organizzazione" dovrebbe essere uno dei tratti caratterizzanti la professionalità in discussione".
Negligente conservazione della documentazione clinica
Nel caso sottoposto all'attenzione della Corte di cassazione, la richiesta di nuove prove era sostenuta dall'impossibilità di produrre tempestivamente un documento visto che lo stesso era stato inserito nella cartella clinica sbagliata.
Per i giudici, però, la negligente conservazione della documentazione clinica, a meno che non sussistano cause di forza maggiore o fatti estranei al loro operato, deve essere imputata necessariamente alla struttura sanitaria e al medico interessato e non può configurare un impedimento non imputabile alla parte onerata.
Corte di cassazione testo sentenza numero 15762/2018• Foto: 123rf.com