di Valeria Zeppilli - L'omessa diagnosi di un processo morboso terminale determina l'esistenza di un danno risarcibile se ha determinato la perdita della possibilità del paziente di vivere alcune settimane o alcuni mesi in più di quelli effettivamente vissuti.
Confrontandosi con la vicenda di un uomo deceduto per infarto acuto diagnosticato in origine come semplice nevralgia, la sentenza numero 16919/2018 della Corte di cassazione (qui sotto allegata) ha a proposito chiarito che "la chance, in tale caso, rileva non come danno-conseguenza ai sensi dell'art. 1223 cod. civ., ma come danno-evento".
Il nesso di causalità
Per i giudici della terza sezione civile, il nesso di causalità materiale non deve essere posto in relazione con l'evento morte in sé e per sé ma deve essere connesso con la perdita del periodo di sopravvivenza del malato. È infatti rispetto a tale danno-evento che vanno valutate le conseguenze pregiudizievoli discendenti dall'aver privato il danneggiato della sopravvivenza anche per un periodo di vita limitato.
Non deve parlarsi di chance
In tali casi non è corretto parlare di perdita di chance, perché il danno deriva non dal mancato conseguimento di qualcosa che il soggetto non ha mai avuto quanto piuttosto dalla "perdita di qualcosa che il soggetto già aveva e di cui avrebbe certamente fruito ove non fosse intervenuta l'imperizia del sanitario".
Corte di cassazione testo sentenza numero 16919/2018• Foto: 123rf.com