La vicenda
Il Tribunale disattendeva le richieste di insinuazione al passivo, in prededuzione o in privilegio, presentate da parte di alcuni ex lavoratori nei confronti del fallimento di una società, quest'ultima nelle vesti di datrice di lavoro.
Le insinuazioni avevano ad oggetto somme riconosciute a titolo di trattamento di fine rapporto (TFR), maturate antecedentemente la dichiarazione di fallimento e sottoposte per un biennio a trattamento di Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria (CIGS).
La Corte territoriale rigettava le istanze richiamando il principio formulato dalla Cassazione con la sentenza 15978/2009 secondo il quale la quota maturata durante il periodo di CIGS dovesse essere corrisposta unicamente dall'Inps.
La Corte d'Appello confermava la sentenza di primo grado e gli appellanti decidevano così di ricorrere in Cassazione.
I motivi di ricorso
I ricorrenti contestano la violazione e falsa applicazione dell'art. 2 della Legge 464/1972 e l'omesso esame di un fatto deciso per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Nello specifico si ritiene che il principio di diritto, posto a fondamento della decisione, non sarebbe pertinente e determinante per la risoluzione del caso di specie.
Secondo la prospettazione dei ricorrenti, la succitata pronuncia (15978/2009) riguardava dei soggetti che erano stati licenziati e, in seguito a ciò, collocati in cassa integrazione.
Una situazione del tutto diversa da quella del caso di specie poiché i lavoratori sono stati collocati in cassa integrazione e, al termine di tale periodo, hanno continuato a svolgere le proprie prestazioni presso la stessa azienda, quest'ultima dapprima affittata e poi ceduta ad una società terza.
La decisione della Cassazione
I giudici di legittimità, con l'ordinanza in commento, dichiarano fondato il motivo di ricorso.
Il trattamento di fine rapporto è un istituto che trova nell'art. 2120 del codice civile il principale riferimento normativo.
La succitata norma prevede che il trattamento di fine rapporto deve essere riconosciuto da parte del datore di lavoro, con un calcolo da eseguirsi secondo le modalità disciplinate dalla stessa disposizione.
Proseguendo con la lettura della norma, al suo terzo comma, si considera l'ipotesi in cui il rapporto lavorativo venga sospeso.
Nello specifico si prevede che, qualora la prestazione lavorativa sia sospesa per una delle cause indicate dall'art. 2120 c.c. o nelle ipotesi di sospensione totale o parziale per le quali sia prevista l'integrazione salariale, deve riconoscersi la medesima quota di TFR che questi avrebbe percepito se avesse normalmente svolto il proprio lavoro.
La norma in questione permette di desumere che la collocazione del lavoratore in cassa integrazione non incide in alcun modo sul relativo diritto a percepire le quote di TFR anche in siffatto periodo.
In altri termini il lavoratore ha diritto a percepire il medesimo trattamento di fine rapporto che questi avrebbe conseguito se non vi fosse stata la cassa integrazione.
Riconosciuta la titolarità a percepire il TFR anche nel periodo di cassa integrazione, occorre individuare chi sia il soggetto tenuto alla relativa corresponsione.
In linea generale il trattamento di fine rapporto deve essere riconosciuto ed erogato da parte del datore di lavoro.
Se questa è la disciplina generale, sussistevano delle eccezioni come quella prevista nel caso in cui,al termine della cassa integrazione, il rapporto di lavoro non fosse proseguito ma, al contrario, fosse cessato.
Una siffatta situazione era disciplinata dall'art. 2 della Legge 464/1972, norma quest'ultima abrogata dall'art. 46 ,co 1, Lett. E del d. lgs. 148/2015.
Il caso di specie afferisce una situazione verificatasi nel biennio 2000-2002 ed è proprio per questo che risulta ancora applicabile la disciplina previgente.
La norma in questione prevedeva che per i lavoratori licenziati al termine di integrazione salariale,la quota di TFR, maturata in tale periodo, sarebbe potuta essere rimborsata dalla Cassa integrazione guadagni dell'indennità di anzianità.
Quando riportato permette così di desumere che l'Inps era tenuto a corrispondere la quota di TFR per il periodo di cassa integrazione solo se, al termine di detto periodo, il rapporto di lavoro fosse terminato.
Come sostenuto dallo stesso ricorrente, il richiamo alla precedente pronuncia del 2009 non permette di addivenire ad una diversa conclusione.
Nella vicenda della succitata pronuncia, il lavoratore era stato prima licenziato e poi collocato in cassa integrazione.
Si denota come in tale occasione non si fosse posta la questione se la corresponsione del TFR avesse continuato a gravare sul datore di lavoro nel caso in cui, terminata la cassa integrazione, il rapporto di lavoro avesse ripreso il suo corso.
Le conclusioni sostenute in tale sede enunciano un principio che si pone in perfetta sintonia con il caso di cui ci si occupa.
Il giudice d'appello ha errato nel ritenere ininfluente la circostanza che i lavoratori non fossero stati licenziati al termine della cassa integrazione ma avessero ripreso le rispettive prestazioni lavorative presso la stessa azienda che nel frattempo era stata ceduta.
Si tratta di un dato fattuale di non poco conto che attesta la violazione del quadro normativo appena delineato.
In maniera più sintetica e incisiva: nel caso di specie il rapporto di lavoro non è terminato ma è proseguito, motivo per cui deve operare la summenzionata regola generale.
Per questi motivi il Supremo Consesso annulla la sentenza, rinviandola a diversa sezione della Corte d'appello che, nel decidere, si dovrà attenere a siffatti principi.
La disciplina attuale
Come anticipato il decreto legislativo 148 del 2015 ha abrogato la Legge 464/1972.
Il Ministero del Lavoro, con propria circolare 24/2015, ha affermato che l'abrogazione ha efficacia per i trattamenti richiesti a partire dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto, ossia dal 24 Settembre 2015.
Occorre chiedersi quali siano le conseguenze a fronte di tale abrogazione relativamente alla tematica di cui si discute.
L'intervento normativo ha fatto venire meno l'eccezione, ampliando l'operatività della regola.
L'onere economico delle quote di TFR maturate dai lavoratori nel periodo di cassa integrazione è sempre a carico del datore di lavoro ex art. 2120 co 3 c.c. a prescindere da quali siano le sorti del rapporto.
Unica eccezione che in tale sede appare opportuno rilevare per completezza afferisce l'ipotesi in cui venga stipulato un contratto di solidarietà attualmente regolamentato dall'art. 21 co 5 del succitato decreto 148/2015.
Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 17501/2018• Foto: 123rf.com