di Lucia Izzo - La Corte di Giustizia dell'Unione Europea dovrà chiarire se rientra nell'ambito di applicazione della tutela antidiscriminatoria, di cui alla direttiva n. 2000/78/CE, la dichiarazione di un avvocato che, nel corso di un'intervista radiofonica, abbia dichiarato di non voler assumer nel proprio studio o avvalersi della collaborazione di persone omosessuali. Appare cruciale ai fini dell'interpretazione il fatto che tali dichiarazioni siano state effettuate fuori da qualunque selezione del lavoro, sia programmata che attuale, da parte dell'intervistato.
È questo parte del contenuto del rinvio pregiudiziale che la Corte di Cassazione, prima sezione civile, ha disposto nell'ordinanza interlocutoria n. 19443/2018 (qui sotto allegata) nei confronti della CGUE, chiedendo alla Corte di pronunciarsi su una serie di questioni interpretative del diritto comunitario.
I fatti di causa
Protagonista della vicenda è un noto avvocato e giurista che la Corte d'Appello aveva condannato a risarcire 10mila euro di danno a un'associazione di avvocati per i diritti LGBTI (rete Lenford).
I giudici avevano infatti ritenuto illecito, in quanto a carattere discriminatorio, il comportamento tenuto dal soccombente che nel corso di un'intervista radiofonica aveva dichiarato di non voler assumere né di volersi avvalere della collaborazione di perone omosessuali nel proprio studio.
La controversia, secondo i giudici di Cassazione a cui il soccombente aveva fatto ricorso, presenta due profili che si palesano centrali, al punto da dover richiedere l'intervento interpretativo della Corte di giustizia dell'Unione.
La prima questione riguarda la possibilità o meno di un'associazione di avvocati, la quale si proponga la tutela giudiziale delle persone a differente orientamento sessuale, costituisca un ente esponenziale ai sensi dell'art. 9 comma 2, direttiva n. 2000/78/CE, per il fatto che nel suo statuto contempli anche il fine della diffusione della cultura medesima.
Inoltre, seconda questione, gli Ermellini si chiedono se rientra nell'ambito della tutela antidiscriminatoria una manifestazione di pensiero contraria alla categoria delle persone omosessuali, sebbene avulsa da qualsiasi procedura di assunzione ed esternata per palesare la propria opinione.
Infatti, nel caso in esame, l'intervistato era stato incalzato dall'intervistatore e aveva pronunciato le frasi di astio verso gli omosessuali senza che vi fosse alcuna selezione di lavoro aperta e neppure programmata per il futuro.
Associazione avvocati a tutela dei diritti LGBTI può chiedere il risarcimento del danno?
La sentenza
impugnata ha ritenuto l'associazione legittimata all'azione per il fatto che nel suo Statuto si proponesse lo scopo di contribuire a sviluppare e diffondere la cultura e il rispetto dei diritti delle persone LGBTI (lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuali), sollecitando l'attenzione del mondo giudiziario sulle differenze e promuovendone il rispetto, nonché occupandosi della loro tutela giudiziaria.Dal momento che si tratta di un'associazione di avvocati e che lo statuto, oltre all'indicazione del fine di diffondere il rispetto dei diritti delle persone LGBT, si incentra sullo scopo di offrire assistenza giudiziaria, si pone la questione se sia sufficiente l'enunciazione del primo fine per rendere l'associazione legittimata ad agire a tutela delle discriminazioni sul lavoro in relazione a un proprio diretto interesse e per ottenere la condanna al risarcimento del danno in proprio favore.
È discriminatorio dichiarare di non voler assumere avvocati gay?
È discriminatorio dichiarare di non voler assumere avvocati gay?
La seconda questione, invece, si sofferma sull'applicazione o meno della disciplina antidiscriminatoria sul lavoro, contenuta nella direttiva 2000/78/CE, alla manifestazione del pensiero. Infatti, sottolinea la Cassazione, l'ambito di applicazione di tale tutela è riferito, sia dalla fonte eurounitaria che da quella nazionale, alla situazione che concerne l'instaurazione, l'esecuzione o la conclusione di un rapporto di lavoro.
L'ambito proprio tutela è perciò quello dell'autonomia negoziale, espressione del diritto di iniziativa economica privata, mentre la disciplina antidiscriminatoria non appare volta ad apprestare i mezzi processuali per la tutela dell'onore, della reputazione o dell'identità personale di cui siano titolari i citati soggetti. Neppure sembra volta ad operarne il bilanciamento con l'altrui diritto alla libera manifestazione del pensiero, trattandosi di categorie concettuali estranee all'ambito di applicazione della citata direttiva.
In sostanza, per gli Ermellini, il fatto che le affermazioni fossero riferite solo a una possibilità, non essendovi in corso alcuna selezione del lavoro, potrebbe di fatto rendere tali dichiarazioni rientranti nella tutela della libertà di manifestazione del pensiero, in quanto non presentano neppure le caratteristiche di un'offerta al pubblico.
Il rischio che i giudici mirano a evitare, sarebbe quello di traslare "verso un diritto sanzionatorio dell'intenzione, che sembra incompatibile con i principi dello Stato di diritto e con una legittima compressione dei diritti fondamentali".
Tuttavia, sul punto gli Ermellini rimangono cauti e preferiscono che sia direttamente la Corte di Giustizia dell'Unione Europea a chiarire se al caso in esame possa applicarsi o meno la tutela antidiscriminatoria predispowta dalla direttiva n. 2000/78/CE. Si tratta di questione, infatti, che richiede l'esatta interpretazione e delimitazione delle norme poste da una direttiva europea.
La Corte di Giustizia dell'Unione Europea, dunque, chiarirà: se rientra nell'ambito di applicazione della tutela antidiscriminatoria predisposta dalla direttiva n. 2000/78/CE una manifestazione del pensiero contraria alla categoria delle persone omosessuali con la quale, in un'intervista rilasciata nel corso di una trasmissione radiofonica di intrattenimento, l'intervistato abbia dichiarato che mai assumerebbe o vorrebbe avvalersi della collaborazione di dette persone nel proprio studio professionale, sebbene non fosse affatto attuale né programmata dal medesimo una selezione di lavoro.
Cass., I civ., ord. n. 19443/2018• Foto: 123rf.com