di Daniela Ferro - La terza sezione civile della Cassazione si è pronunciata, con ordinanza n. 18567 del 13 luglio 2018, confermando anche un suo recentissimo orientamento (sentenza n. 7250 del 2018) e ribadendo la centralità del ruolo della cartella clinica e del suo valore probatorio nel giudizio riguardante la responsabilità medica e confermando la responsabilità della sua tenuta in capo alla struttura sanitaria.
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La vicenda
Nel 2007, il coniuge e i figli di un uomo, avevano convenuto in giudizio per il risarcimento dei danni patiti dal congiunto, dopo il decesso di quest'ultimo, innanzi il Tribunale di Roma, la struttura sanitaria dove lo stesso era stato sottoposto ad un intervento chirurgico per la risoluzione di alcune problematiche cardiache, a seguito del quale, sopraggiunte delle complicazioni, era deceduto. A fondamento della propria domanda gli attori ponevano degli errori svolti dalla struttura nella scelta delle terapie da eseguire ed, in particolare, la mancata sospensione di una terapia che il malato stava precedentemente seguendo, ponendo a sostegno della propria teoria le risultanze ottenute a seguito dell'istruzione preventiva ex art. 696 bis c.p.c da loro proposta e nella quale la struttura aveva deciso di non estendere il contraddittorio ai medici coinvolti.
Nel giudizio di merito, mentre, la struttura nel costituirsi contestando la domanda attorea, decideva di chiamare in causa anche i medici: il chirurgo, l'anestesista e l'assistente.
Il chirurgo si costituiva e preliminarmente contestava l'ammissibilità dell'elaborato peritale, che si era costituito in un procedimento di istruzione preventiva al quale non aveva preso parte e, nel merito, contestava la sussistenza di una propria responsabilità, poiché asseriva che il decesso del paziente fosse attribuibile alle conseguenze di una infezione nosocomiale che, come tale, era da ricondursi alla esclusiva responsabilità della casa di cura ed all'esecuzione della profilassi antibiotica.
Lo stesso, inoltre, ottenutane l'autorizzazione, chiamava in causa l'A. assicurazioni S.p.A., compagnia assicuratrice della struttura sanitaria per la responsabilità civile presso terzi.
Gli altri due convenuti si costituivano ed, in sintesi, asserivano che la scelta delle tecniche e delle terapie, specie in un caso così ad alto rischio, era da attribuirsi esclusivamente al dottore ed alla sua equipe.
La sentenza di primo grado
Con la sentenza di primo grado il Tribunale di Roma accoglieva la domanda attorea condannando tutti i convenuti al risarcimento dei danni, specificando che questi non avevano assolto l'onere, gravante a loro carico, di produrre la cartella clinica e limitando che il solo profilo di responsabilità fosse da attribuire, in base alle risultanze presenti in giudizio, alla mancata prevenzione e cura dell'insorta infezione.
Il secondo grado
La struttura sanitaria non proponeva appello e, nei suoi confronti, la sentenza diveniva cosa giudicata. Proponevano, invece, appello, contestando nel merito la sentenza, sia il dottore che l'assistente. Il primo, in particolare, chiedeva che fosse ammessa la già richiesta in primo grado CTU. La Corte d'Appello disponeva la CTU nel corso della quale emergeva che la struttura sanitaria aveva denunciato lo smarrimento della cartella clinica nell'anno 2013.
La Corte d'Appello riformava parzialmente la sentenza di primo grado provvedendo ad una graduazione della responsabilità della struttura e degli altri convenuti, precisando che l'infezione nosocomiale che aveva colpito il paziente, benché scaturente dalla responsabilità della struttura clinica, non esonerava da responsabilità i sanitari convenuti che comunque avevano una percentuale di responsabilità nel decorso post operatorio del paziente.
In particolare la Corte riteneva che una maggiore responsabilità fosse ascrivibile all'equipe chirurgica e quindi al dottore ed alle sue scelte in tema di tecniche chirurgiche in relazione a quello specifico paziente.
La decisione della Corte maturava sulla base delle risultanze della CTU e dei precedenti rilievi peritali disposti con accertamento tecnico preventivo non potendo basarsi su quanto annotato nella cartella clinica che era andata smarrita. A questo riguardo nella sentenza d'appello si precisava che l'obbligo della tenuta della cartella era gravante sulla struttura sanitaria e sul medico, ragione per la quale gli attori in appello non avevano assolto l'onere probatorio a loro carico idoneo a liberarli dalla responsabilità.
Il giudizio in Cassazione
Il chirurgo, in ragione delle motivazioni esposte nella sentenza di appello, proponeva ricorso per Cassazione al quale resistevano gli attori in primo grado, la compagnia di assicurazioni e l'anestesista, che proponeva contro ricorso, mentre la struttura sanitaria non svolgeva attività difensiva, benché regolarmente intimata.
Il ricorrente asseriva che la sentenza di secondo grado fosse viziata da violazione e falsa applicazione degli artt. 116 c.1 c.p.c., 2697 c.c., 2 5 e 7 D.P.R. 128/1969, in relazione all'art. 360 c.1 n. 3) c.p.c.
A questo riguardo lo stesso asseriva che la Corte d'Appello avrebbe confuso l'obbligo di compilazione della cartella, da lui assolto diligentemente, con l'obbligo di tenuta, gravante esclusivamente sulla struttura sanitaria facendo riferimento, a sostegno della propria tesi, al disposto normativo D.P.R. 128/1969, artt. 2, 5 e 7, che stabilisce proprio che si parla della responsabilità del medico nella regolare compilazione delle cartelle cliniche e nella loro conservazione fino alla consegna all'archivio centrale, momento a partire dal quale la responsabilità passa in capo alla struttura sanitaria.
Seguendo tale argomentazione, il ricorrente asseriva che, a causa dello smarrimento della cartella i medici si troverebbero in una situazione simmetrica rispetto al paziente poiché come quest'ultimo, trovandosi nell'impossibilità di provare la loro condotta, subirebbero un pregiudizio ingiusto a causa della condotta della struttura sanitaria.
Negli altri motivi il ricorrente contesta le ragioni di merito della sentenza di appello unitamente alla condanna alle spese di giudizio così come pure fa il M.F. nel proprio ricorso incidentale
Rigettando entrambi i ricorsi la Cassazione ha precisato che, ai sensi dell'art. 7 del D.P.R. 128/1969, per tutta la durata del ricovero, il responsabile della tenuta e conservazione della cartella clinica è il medico (e più precisamente il responsabile della unità operativa ove è ricoverato il paziente).L'obbligo di questi si esaurisce una volta che, dopo aver provveduto oltre che alla compilazione alla conservazione della cartella, consegna la cartella all'archivio centrale. In questo momento la responsabilità per omessa conservazione della cartella si trasferisce in capo alla Struttura sanitaria, che deve conservarla in luoghi appropriati.
Cartella clinica: obbligo di tenuta e conservazione
Quest'obbligo di tenuta e conservazione, come ribadito dalle successive circolari del Ministero della Sanità, è illimitato nel tempo, poiché le cartelle rappresentano un atto ufficiale. Per tale ragione, è asseribile che <il principio di vicinanza della prova, fondato sull'obbligo di regolare e completa tenuta della cartella, le cui carenze od omissioni non possono andare a danno del paziente (si vedano, ex multis, Cass. civ., sez. III, 05-07-2004, n.12273; Cass. civ. sez. III, 26 -01 -2010, n. 1538 e, di recente, Cass. n. 7250 del 2018), non può operare in pregiudizio del medico per la successiva fase di conservazione:dal momento in cui l'obbligo di conservazione si trasferisce sulla struttura sanitaria, l'omessa conservazione è imputabile esclusivamente ad essa>. Questo significa, sempre secondo la Corte, che tale principio non può riverberarsi anche contro il medico, in termini di onere della prova, sposando, in questo caso, le asserzioni del ricorrente sulla simmetria, in queste ipotesi, tra la posizione del paziente e quella del medico. Nonostante questa affermazione la Cassazione ha ritenuto, posto anche che nel caso di specie la denuncia della cartella clinica fosse stata fatta nell'anno 2013, che comunque fosse sorto in capo ai medici l'onere di procurarsi tutta la documentazione idonea a provare la propria posizione. Nel caso in esame, ad esempio, i ricorrenti avrebbero potuto tempestivamente chiedere copia della cartella in questione. Inoltre non giova ai ricorrenti l'aver sostenuto, ai fini della utilizzabilità degli elementi di prova, di non aver partecipato all'accertamento tecnico preventivo. Secondo la Cassazione, infatti, sulla scorta anche di precedenti pronunciamenti conformi (Cass. Civ. 5658/2010), bene ha fatto la Corte d'Appello ad ut
ilizzare tutti gli elementi, correttamente prodotti, per fondare il proprio convincimento.
Responsabilità medica: cartella clinica e onere della prova
La Cassazione, dunque, conferma la sussistenza della responsabilità in capo alla struttura sanitaria della tenuta delle cartelle cliniche ma precisa che questo non fornisce al medico una prova liberatoria della propria condotta sopratutto quando questi avrebbe potuto, con diligenza, costituirsela in modo tempestivo e compiuto.
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