di Lucia Izzo - Va condannato per interferenza illecita nella vita privata il marito che riprende in casa la moglie, nuda o seminuda, intenta a prendersi cura della sua persona o all'igiene del corpo. La qualità di coniuge, ovvero di soggetto generalmente coinvolto nella vita privata della donna, non esclude il delitto se quei momenti di intimità sono indebitamente captati.
Lo ha deciso la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, nella sentenza n. 36109/2018 (qui sotto allegata) pronunciandosi sull'impugnazione proposta dall'imputato condannato per il reato di minaccia aggravata commesso in danno della moglie e, ai soli effetti civili, per il reato di interferenze illecite nella vita privata.
L'uomo, tra l'altro, contesta la sussistenza della fattispecie ritenendo che il delitto si configura solo allorché la condotta intrusiva provenga da un terzo estraneo alla vita privata della persona ripresa, non anche quando provenga da un soggetto in qualche modo ammesso a farne parte, come il coniuge convivente. Nel caso di specie, sostiene la difesa, l'imputato aveva ripreso attimi della vita quotidiana condivisa con la sua famiglia, non potendo pertanto ravvisarsi alcuna indebita intrusione.
La tutela della riservatezza domiciliare
Argomentazione che non convince gli Ermellini: dalla ricostruzione del fatto tipico ex art. 615-bis c.p., spiegano i giudici, si evince che oggetto giuridico del reato è la riservatezza domiciliare, formula che identifica il diritto alla esclusiva conoscenza di quanto attiene alla sfera privata domiciliare e cioè all'estrinsecazione della personalità nei luoghi di privata dimora. In altri termini "oggetto di tutela è la proiezione spaziale della personalità nei luoghi in cui questa si manifesta privatamente".
Come osserva anche il ricorrente, la norma incriminatrice sanziona i soli comportamenti di interferenza posti in essere da chi risulti estraneo agli atti di vita privata oggetto di indebita captazione poiché, in caso contrario, il bene giuridico della riservatezza domiciliare non risulterebbe leso.
Pertanto, chi partecipa, con l'assenso dell'offeso, alla scena ritratta (sia essa domestica, intima, o comunque tale da non rendersi percepibile ad una generalità indeterminata di persone) non può essere soggetto attivo del reato.
Tuttavia, precisano i giudici di legittimità, non risulta decisivo per escludere la rilevanza penale della condotta che il fatto avvenga nell'abitazione di chi ne sia autore, giacché ciò che rileva è che il dominus loci non sia estraneo al momento di riservatezza captato.
Conseguentemente risponde del reato anche chi predispone mezzi di captazione visiva o sonora nella propria dimora carpendo immagini o notizie attinenti alla vita privata degli altri soggetti che vi si trovino, siano essi stabili conviventi od occasionali ospiti.
Invece, non risponde dello stesso reato colui che condivide con i medesimi soggetti e con il loro consenso l'atto della vita privata. Il discrimine tra interferenza illecita e lecita non è infatti dato dalla natura del momento di riservatezza violato, bensì dalla circostanza che il soggetto attivo vi sia stato o meno partecipe.
È reato riprendere la moglie nuda in casa senza il suo consenso
La vicenda di cui è causa, tuttavia, è diversa da quella analizzata dalla Corte in una precedente decisione (cfr. sent. n. 1766/2008) in cui era stata ritenuta lecita la condotta di un soggetto che aveva filmato dei rapporti sessuali intrattenuti con la convivente, poiché le immagini concernevano "anche la sua persona nell'ambiente ad entrambi riservato".
Da ciò si evince che il reato possa configurarsi anche a carico del dominus loci in presenza delle seguenti condizioni: 1) che egli non compaia nelle registrazioni effettuate; 2) che egli risulti, anche momentaneamente, escluso dal luogo ripreso a beneficio della riservatezza altrui.
Entrambe le condizioni ricorrono del caso di specie avendo l'imputato ammesso di aver filmato la propria moglie in bagno o in camera da letto, nuda o seminuda, intenta alla cura della propria persona o all'igiene del corpo, senza che risultasse in alcun modo che la donna volesse condividere con l'imputato i descritti momenti di intimità.
Pertanto, dalle dichiarazioni rese dall'imputato è stato accertato che il marito non era ammesso a partecipare agli stessi. Deve allora ritenersi che, pur nella sua qualità di coniuge e quindi di soggetto in generale coinvolto nella vita privata della moglie, egli fosse estraneo alla visione di quelle specifiche attività indebitamente captate ed oggetto di protezione in quanto private. La sua condanna va quindi confermata.
Cass., V pen., sent. n. 36109/2018• Foto: 123rf.com