di Lucia Izzo - Scatta lo stalking a carico dell'amante che perseguita la ex, minacciando di rivelare al marito la loro relazione e di rovinarle la famiglia. La condanna è confermata nonostante la donna gli inviasse messaggi apparentemente affettuosi, ma unicamente allo scopo di "tenerlo calmo".
Tanto si desume dalla sentenza n. 38377/2018 (qui sotto allegata) con cui la Corte di Cassazione si è pronunciata su ricorso di un uomo condannato per stalking nei confronti dell'ex amante. Gli Ermellini, in realtà, si erano già trovati ad analizzare la vicenda e, su istanza del condannato, avevano annullato la sentenza che con cui i giudici di appello lo avevano ritenuto colpevole.
La vicenda
Nella sentenza di annullamento, i giudici della Cassazione avevano richiesto una rinnovata analisi al fine di accertare se gli eventi previsti dalla norma (perdurante stato d'ansia o di paura ovvero fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o mutamento delle abitudini di vita) fossero diretta conseguenza della condotta persecutoria dell'agente.
Il ricorrente, infatti, riteneva che i giudici di merito non avessero motivato sulla condotta ambivalente della donna, da lui censurata, che in talune occasioni aveva preso l'iniziativa contattando l'imputato. In sede di rinvio, tuttavia, la condanna veniva confermata.
Per la Corte territoriale, infatti, tutti i contatti ricercati ossessivamente dall'imputato nei confronti della donna erano stati pervicacemente e univocamente rifiutati e osteggiati dalla vittima con ogni mezzo a sua disposizione, senza traccia di cedimenti sentimentali di segno opposto. Anche gli Ermellini, nuovamente chiamati a pronunciarsi sulla vicenda, rigettano l'impugnazione.
Secondo l'imputato, i giudici a quo non si erano attenuti alla regola di giudizio posta dalla sentenza di annullamento, che richiedeva maggior ponderatezza da parte dell'organo giudicante. Invece, spiega la Cassazione, stavolta non può muoversi alcuna censura alla decisione di condanna che, pertanto, assume carattere definitivo.
Infatti, si legge in sentenza, non viola l'obbligo del c.d. giudicato interno il giudice di rinvio che, dopo l'annullamento per vizio di motivazione, pervenga nuovamente all'affermazione di responsabilità dell'imputato sulla scorta di un percorso argomentativo in parte diverso e in parte arricchito rispetto a quello censurato in sede di legittimità.
Scatta lo stalking nei confronti dell'ex amante contattato dalla vittima per "tenerlo calmo"
Nella sentenza emessa in fase di rinvio la Corte d'Appello ha rimarcato che, dall'elenco dei messaggi ai quali aveva fatto riferimento proprio la difesa nell'atto di appello, era emerso con chiarezza che già dall'11 dicembre 2014 la donna avesse deciso di non cercare più l'imputato e che, dal 16 febbraio 2015, erano definitivamente cessati i messaggi dal tenore apparentemente affettuoso provenienti dalla donna che aveva con decisione rifiutato tutti i contatti cercati ossessivamente dall'imputato.
Quanto al tenore ambivalente dei messaggi della donna, i giudici d'appello hanno loro attribuito, con argomentazione che la Cassazione ritiene insindacabile in quanto non manifestamente illogica, il valore di "estremo tentativo della donna di tenere calmo l'ex amante che a partire dal mese di dicembre 2014 aveva iniziato a inviarle frequenti messaggi in cui minacciava di rivelare la relazione al marito e di rovinare lei e la sua famiglia, pedinandola e appostandosi presso la sua casa e sul luogo di lavoro".
Un'argomentazione corroborata dall'analisi di uno specifico messaggio in cui la donna scriveva "ti amo di più se mi dici alle 5.32 cosa ci facevi qui", lasciando trapelare il suo vero sentimento di inquietudine. Invece, quanto ai messaggi che la vittima aveva inviato di sua iniziativa, per i giudici non poteva escludersi che fossero dialoghi sollecitati dal molestatore tramite altri canali di comunicazione utilizzati dai due (Facebook e Messenger).
Tra l'altro si trattava di un periodo in cui era stato definitivamente accertato, con sentenza passata in giudicato, che la donna si trovasse in stato di gravissima soggezione nei confronti dell'amante che era stato condannato in via definitiva per episodi di violenza carnale consumata e tentata.
Pertanto, conclude la Cassazione, la motivazione fornita dalla giudice d'appello dopo il rinvio rispetta la traccia argomentativa imposta dalla sentenza della sezione penale penale che aveva richiesto di riesaminare il nesso di causa tra condotta dell'imputato e il cambiamento di umore e abitudini della vittima, profilo che è stato analiticamente trattato con indicazione delle prove a sostegno, in linea con l'orientamento interpretativo enunciato dalla giurisprudenza di legittimità in merito alla prova dell'evento del delitto in esame.
Cass., IV pen., sent. 38377/2018• Foto: 123rf.com