di Annamaria Villafrate - L'ordinanza n. 21130/2018 della Cassazione (sotto allegata) considera legittimo l'accertamento dell'Agenzia delle Entrate del reddito conseguito, fondato sulla quantità di polvere utilizzata per la preparazione del caffè, se l'imprenditore non riesce a dimostrare il contrario. Il fatto che le scritture contabili siano corrette, come addotto dalla contribuente, infatti non impediscono all'ufficio accertatore di avere dubbi sulla veridicità dei ricavi e costi dichiarati.
La vicenda processuale
Una contribuente impugna l'avviso di accertamento con cui l'Agenzia delle Entrate eleva il reddito del 2005 relativo all'attività di somministrazione di caffè. La commissione tributaria provinciale di Benevento accoglie il ricorso con sentenza, parzialmente riformata da quella della Regione Campania, che ridetermina i maggiori ricavi in euro 25.000,00. La Commissione Tributaria Regionale rileva, tra l'altro, che l'Ufficio ha correttamente calcolato in 8 g la polvere di caffè necessaria per una tazzina tenendo conto degli scarti di lavorazione. Per questo la CTR ritiene equo ridurre a 25.000 i maggiori ricavi conseguiti.
La contribuente a questo punto ricorre in Cassazione ritenendo:
- l'accertamento illegittimo in quanto la CTR non ha considerato che, in presenza di scritture contabili regolari, l'Ufficio non ha dedotto presunzioni gravi, precise e concordanti, non potendo considerarsi tale la percentuale di ricarico applicata sui prodotti;
- incomprensibile come la CTR sia giunta alla conclusione che per preparare una tazzina di caffè, occorrono 6,5-7 grammi di polvere riducendo così il reddito accertato in base a criteri meramente equitativi.
Legittimo il tazzinometro
La Cassazione, con ordinanza n. 21130/2018 rigetta il ricorso per le ragioni che si vanno a illustrare.
- Il primo motivo è infondato poiché quando si deve procedere all'accertamento delle imposte sui redditi ai fini IVA, il fatto che le scritture contabili siano corrette, non esclude la legittimità del controllo analitico-induttivo del reddito d'impresa "sempre che la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente e sostanzialmente inattendibile, in quanto confliggente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo dell'antieconomicità del comportamento del contribuente." In queste ipotesi l'ufficio ha il diritto di avere dubbi sulla veridicità delle operazioni dichiarate e desumere quindi, in base a presunzioni semplici, gravi, precise e concordanti, maggiori ricavi o minori costi.
- Il secondo è parimenti infondato, poiché il giudice tributario di merito chiamato a valutare la legittimità e la fondatezza dell'atto impositivo deve analizzare "singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall'Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio e solo in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza nel senso precisato, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi degli articoli 2727 e ss. e 2697, secondo comma, cod. civ."
Ora, poiché in questo caso la Commissione regionale ha ritenuto gli elementi forniti dall'Ufficio gravi, precisi e concordanti e che la contribuente non ha fornito prova contraria in merito alla quantità di polvere di caffè necessaria per preparare una tazzina, l'accertamento è da considerarsi legittimo.
Cassazione ordinanza n. 21130-2018