I contorni della disciplina della revoca prefettizia della patente di guida, a seguito del recente intervento della Corte Costituzionale

di Giuseppe Rizzi - Con la sentenza n. 22/2018, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 120, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come sostituito dall'art. 3, comma 52, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), nella parte in cui - con riguardo all'ipotesi di condanna per reati di cui agli artt. 73 e 74 del d.P.R. n. 309/1990 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza) - dispone che il prefetto «provvede» - invece che «può provvedere» - alla revoca della patente».

Con la stessa pronuncia, ha ritenuto, parimenti, non fondata la questione di legittimità costituzionale del medesimo articolo (commi 1 e 2), sollevata, in riferimento agli artt. 11 e 117, comma 1 Cost., in relazione all'art. 7 della CEDU.

I fatti

II Tribunale ordinario di Genova, in composizione collegiale, era stato chiamato a valutare un'istanza cautelare di sospensione dell'efficacia di un provvedimento di revoca della patente di guida, adottato dal Prefetto ai sensi dell'art. 120 codice della strada (di seguito Cod. strada), sul presupposto che la ricorrente non risultasse più in possesso dei "requisiti morali" in seguito ad una condanna, avvenuta nel 2009, per il reato di cui all'art. 73 del t.u. in materia di stupefacenti (Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope), commesso tra il settembre e il novembre del 2007. Sostenendo di aver ormai superato con successo la situazione di tossicodipendenza e che il possesso della patente di guida risultasse essenziale per lo svolgimento delle normali attività quotidiane, la ricorrente si rivolgeva al Tribunale per ottenere la disapplicazione immediata del provvedimento prefettizio, con l'ulteriore richiesta di sollevare all'uopo questione di legittimità costituzionale

dell'art. 120 sopracitato.

È importante sottolineare che la possibilità per il Prefetto di adottare il provvedimento di revoca della patente di guida per il caso di condanna per reati in materia di sostanze stupefacenti è stata introdotta dal legislatore solo nel 2009, ad opera dell'art. 3, comma 52, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica). Tale novella legislativa, infatti, inserisce nell'elenco dei soggetti che non possono conseguire la patente di guida, ovvero ai quali deve essere revocata ove ne siano già in possesso, i condannati per reati in materia di stupefacenti e, in particolare, quelli previsti dagli articoli 73 e 74 del relativo testo unico.

Le questioni sollevate

Con la prima questione, il giudice a quo denunciava la violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, la quale funge così da "parametro interposto".

La novella del 2009, argomenta il Tribunale genovese nell'ordinanza di rinvio, troverebbe applicazione al caso di specie, in quanto essa si applica anche a fatti di reato commessi precedentemente alla sua entrata in vigore (nel caso di specie risalenti all'anno 2007). Infatti, come si evince dal tenore letterale del novellato art. 120 comma 2, l'autorità prefettizia deve provvedere alla revoca della patente ogniqualvolta risulti a carico del soggetto una condanna per reati di cui al T.U. in materia di stupefacenti, a prescindere dal momento in cui è stato commesso effettivamente il reato (l'unica condizione posta dalla norma è che non siano trascorsi più tre anni dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna). Tuttavia, ad avviso del giudice a quo, riconoscere efficacia retroattiva alla norma in parola risulterebbe in contrasto con l'art. 7 CEDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo, sulla base della considerazione (logicamente e giuridicamente) preliminare secondo cui alla misura della revoca della patente andrebbe attribuita la natura di sanzione "sostanzialmente penale" alla luce dei c.d. "Engel criteria", elaborati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. Tale misura sarebbe quindi soggetta ai principi e alle garanzie del diritto penale, tra cui, in primis, il divieto di applicazione retroattiva in malam partem, con la conseguenza immediata che l'art. 120 non potrebbe essere applicato ai reati commessi prima 2009.

Con la seconda questione, il giudice rimettente ha ritenuto l'applicazione in via automatica della revoca da parte del Prefetto (che, come noto, è un organo amministrativo monocratico), prevista dal secondo comma dell'art. 120 cod. strada, contraria ai principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza, che vengono qui in rilievo "oltre che per l'incidenza sulla libertà personale e sulla libertà di circolazione […] anche dal punto di vista della sottrazione del soggetto al giudice naturale e ad un giusto processo", in violazione, rispettivamente, degli artt. 3, 16, 25 e 111 Cost. Osserva infatti il giudice a quo che, con riguardo alle medesime ipotesi di reato in materia di stupefacenti (artt. 73 e 74), l'art. 85 del T.U. prevede che spetti, invece, al giudice penale il potere discrezionale di decidere se applicare o meno, e per quale durata, la pena accessoria del «ritiro della patente», misura certamente più mite, in quanto di carattere soltanto temporaneo, comportando invece la revoca prefettizia la definitiva perdita del titolo di circolazione per il destinatario, con il conseguente onere in capo allo stesso di sostenere ex novo l'esame di guida (purché siano trascorsi almeno tre anni dalla sua revoca).

In sintesi, la revoca della patente di guida deve essere disposta da parte della pubblica amministrazione, citando l'ordinanza di rinvio, "senza alcuna discrezionalità e senza alcuna valutazione della situazione personale del soggetto (…) per tutti i casi di condanna per i reati di cui agli articoli 73 e 74 del testo unico stupefacenti, laddove la normativa speciale prevede che sia il giudice penale a decidere se applicare o meno la pena accessoria del ritiro della patente. Quest'ultima meno grave misura è di applicazione facoltativa e non obbligatoria e richiede una specifica motivazione da parte del giudice penale".

Evidente pertanto il profilo di censura: la legge, sulla base dei medesimi presupposti applicativi (intervenuta condanna per reati in materia di stupefacenti), se, da un lato, prevede la mera facoltà dell'autorità giudiziaria di inficiare il titolo di guida, dall'altro, impone a quella amministrativa il dovere di provvedere in tal senso.

La decisione della Consulta sulla revoca della patente

Per quanto concerne il primo profilo di censura, la Corte costituzionale dichiara infondata la questione.

I giudici della Consulta si premurano, anzitutto, di escludere in radice la qualifica di "sanzione penale" del provvedimento prefettizio di revoca della patente di guida, affermando che: "la revoca della patente, nei casi previsti dall'art. 120 in esame, non ha natura sanzionatoria, né costituisce conseguenza accessoria della violazione di una disposizione in tema di circolazione stradale, ma rappresenta la constatazione dell'insussistenza (sopravvenuta) dei "requisiti morali" prescritti per il conseguimento di quel titolo di abilitazione".

In sostanza, una volta negato che il provvedimento del Prefetto rientri nella categoria dei provvedimenti amministrativi sanzionatori, risulta assolutamente "non pertinente", per usare le parole della Corte, il rinvio ai criteri Engel della Corte europea. La loro applicazione può comportare il riconoscimento della natura sostanzialmente penale a misure non formalmente tali, ma non certo l'attribuzione della natura di "sanzione" a misure che risultino sprovviste di qualsiasi funzione punitiva, retributiva ovvero dissuasiva dalla commissione di illeciti. Per questo motivo, il giudice a quo, nel richiamare l'art. 7 CEDU quale parametro alla luce del quale vagliare la legittimità costituzionale dell'art. 120 cod. strada, muove da un presupposto inesatto e cioè dall'assunto che la revoca della patente abbia natura "sanzionatoria".

L'incipit del paragrafo 6.1 della sentenza in esame non lascia adito a dubbi: "la natura di sanzione della revoca della patente, qui in esame, è però erroneamente presupposta dal rimettente".

Il Giudice delle Leggi procede poi ad identificare compiutamente la ratio della norma censurata nella "individuazione di un perimetro di affidabilità morale del soggetto, cui è rilasciata la patente di guida", preoccupandosi così di enucleare le condizioni soggettive ostative al conseguimento ovvero mantenimento del titolo che abilita alla guida di autoveicoli. Ne discende, dunque, alla luce dell'iter argomentativo di cui sopra, che la novella legislativa del 2009 risulta legittimamente applicabile anche in relazione a condanne per reati in materia di stupefacenti commessi prima della sua entrata in vigore, purché le relative sentenze siano intervenute dopo tale data.

Per quanto concerne il secondo profilo di censura, relativo all'automatismo del provvedimento di revoca, che preclude alla autorità amministrativa di valutare in concreto il fatto di reato commesso e la personalità del soggetto condannato, la Corte accoglie la questione, riconoscendo la violazione dei principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza di cui all'art. 3 della Carta costituzionale (nella quale restano assorbite le altre censure).

Il primo profilo di irragionevolezza della norma censurata risiede - ad avviso della Corte costituzionale - nel fatto che l'applicazione automatica della revoca della patente di guida prescinde da qualsiasi valutazione delle circostanze del caso concreto e, soprattutto, dall'eventuale distanza temporale del provvedimento del Prefetto rispetto ai fatti ai quali si riferisce la sentenza di condanna per i reati in tema di stupefacenti: "la disposizione denunciata - sul presupposto di una indifferenziata valutazione di sopravvenienza di una condizione ostativa al mantenimento del titolo di abilitazione alla guida - ricollega, infatti, in via automatica, il medesimo effetto, la revoca di quel titolo, ad una varietà di fattispecie, non sussumibili in termini di omogeneità, atteso che la condanna, cui la norma fa riferimento, può riguardare reati di diversa, se non addirittura di lieve, entità. Reati che, per di più, possono (come nella specie) essere assai risalenti nel tempo, rispetto alla data di definizione del giudizio. Il che dovrebbe escluderne l'attitudine a fondare, nei confronti del condannato, dopo un tale intervallo temporale, un giudizio, di assenza dei requisiti soggettivi per il mantenimento del titolo di abilitazione alla guida".

Il secondo profilo di contrasto con l'art. 3 Cost., come già evidenziato dal Tribunale di Genova, deriva secondo il Giudice delle leggi dal raffronto con l'art. 85 del t.u. stupefacenti, in forza del quale il giudice penale che pronuncia sentenza di condanna per i reati in questione "può disporre" la parallela misura del "ritiro" della patente di guida. L'accoglimento di tale censura, però, non si basa sul fatto che, a seguito dell'intervenuta condanna, il Prefetto debba disporre la revoca anche ove il giudice penale decida di non irrogare la sanzione penale accessoria del ritiro della patente (attesa, sia permesso di aggiungere, l'accertata natura non sanzionatoria del provvedimento prefettizio), bensì sulla constatazione che, a fronte dello stesso presupposto (condanne per i reati in tema di stupefacenti, il fatto-reato è lo stesso) e delle affinità, sul piano pratico, delle due diverse misure (incidendo entrambe negativamente sulla titolarità della patente) "mentre il giudice penale ha la "facoltà" di disporre, ove lo ritenga opportuno, il ritiro della patente, il prefetto ha invece il "dovere" di disporne la revoca".


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