di Lucia Izzo - Alla figlia minore del giovane disoccupato, deceduto a causa di un incidente, spetta il diritto al risarcimento del danno patrimoniale futuro correlato al contributo che il padre avrebbe potuto produrre nella sua vita.
Non si tratta di una valutazione che deve "appiattirsi" sul reddito percepito oppure basarsi unicamente sugli studi fatti e sulle possibilità di trovare concretamente lavoro, in quanto il genitore ben avrebbe potuto contribuire al mantenimento della piccola svolgendo mansioni di collaborazione domestica, ovvero quale "casalinga", mestiere di certo non riservato solo alle donne.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, terza sezione civile, nell'ordinanza n. 21402/2018 (qui sotto allegata) bacchettando la decisione con cui la Corte d'Appello, in maniera sbrigativa, aveva escluso che alla figlia del giovane padre disoccupato, deceduto a seguito di un incidente, spettasse un risarcimento per il danno materiale futuro provocato dall'evento.
In particolare, i giudici a quo si erano strettamente attenuti al principio di diritto secondo cui, per la determinazione del danno, era necessaria una valutazione prognostica sulle positive possibilità di guadagno del defunto, tenendo conto degli studi da questo compiuto o dall'ambiente familiare di provenienza.
Nel caso in esame, il giovane padre di neppure 30 anni era privo di un lavoro stabile, faceva l'ambulante irregolare ed era ancora convivente con la sua famiglia di origine nonostante avesse una compagna e una bimba di tre anni.
Questi era stato, dunque, ritenuto dai giudici privo di reddito documentate e, sebbene i parenti avessero dichiarato che provvedeva al mantenimento di convivente e figlia, si erano ritenute mancanti sufficienti allegazioni di parametri di riferimento per poter compiere una valutazione equitativa e, a monte, perché si potesse compiere un giudizio prognostico favorevole sulla capacità di guadagno futura.
Tale valutazione, nella quale erano evidentemente confluiti la mancanza di preparazione professionale, lo stile di vita e le occupazioni a cui era dedito il giovane, è ritenuta dagli Ermellini sbagliata in quanto omette completamente di considerare alcuni fattori rilevanti.
Risarcita la figlia del defunto disoccupato che avrebbe potuto mantenerla con la collaborazione domestica
In primis, spiega la Cassazione, si era mancato di valorizzare la circostanza che era stata la figlia a chiedere il risarcimento per il danno futuro e non, come sovente capita, i genitori della vittima. I genitori, sono onerati al mantenimento dei figli fino al raggiungimento della loro indipendenza economica, obbligo che, deve presumersi, il padre avrebbe in qualche modo rispettato. obbligo specifico che la legge pone a capo di entrambi i genitori.
Pur in difetto di reddito attuale e regolare, infatti, deve ritenersi che il giovane si sarebbe comunque adoperato, con lavoro esterno o con la collaborazione domestica prestata all'interno del nucleo familiare in cui viveva col figlio, a contribuire al mantenimento della prole.
In sostanza, per la Cassazione si è omesso di considerare, forse proprio perché la vittima era un uomo, che anche la morte di una persona che non svolge attività lavorativa, ad esempio la casalinga (figura non necessariamente di sesso femminile) reca ai conviventi un danno patrimoniale futuro in considerazione del suo contributo lavorativo e organizzativo alla conduzione del menage familiare il quale è apprezzabile economicamente giacché consente agli altri componenti del nucleo familiare per assentarsi a loro volta per le più varie incombenze, lavorative o meno
D'altronde, la stessa giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 238/2017 e 17977/2007) ha in passato riconosciuto il danno patrimoniale futuro ai conviventi della casalinga "subito per la perdita delle prestazioni attinenti alla cura ed all'assistenza da essa presumibilmente fornite" (per approfondimenti: Risarciti i familiari per la perdita della casalinga)
Una diversa conclusione nei confronti del padre sarebbe stata in contrasto, concludono i giudici, con il principio di parità e di pari contribuzione dei coniugi ai bisogni della famiglia, nel cui ambito la scelta del riparto delle incombenze domestiche risponde a criteri soggettivi e costumi sociali, nonché con l'id quod plerumque accidit attesa la necessità per ogni persona di occuparsi, quantomeno per le proprie personali esigenze, di una aliquota di lavoro domestico.
Cass., III civ., ord. 21402/2018