di Lucia Izzo - Un rapporto more uxorio non durato molto, ma durante il quale l'ex compagno ha aiutato la donna a cui era legato a ristrutturare e arredare la casa a lei intestata, dove i due avevano convissuto per un breve periodo.
Vent'anni dopo l'uomo ha diritto a vedersi rimborsato i 100 milioni di vecchie lire versati all'epoca, quando di certo non navigava nell'oro, che esulano dall'obbligazione naturale legata alla convivenza quotidiana e che hanno determinato un ingiustificato arricchimento della signora.
La stessa, infatti, potrebbe ottenere un notevole vantaggio economico dalla vendita del bene. La nascita di un figlio, che vive con la madre a seguito dell'accordo fra le parti recepito dal giudice, non scalfisce tale conclusione stante la valutazione dei giudici sulla sproporzione della dazione effettuata, sulle condizioni economiche e sociali dell'uomo e sulla breve durata del rapporto.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, seconda sezione civile, nella sentenza n. 21479/2018 (qui sotto allegata) respingendo il ricorso di una donna che era stata condannata a restituire all'ex convivente oltre 50mila euro.
Tale importo corrispondeva a quanto quest'ultimo aveva pagato per ristrutturare e arredare l'appartamento, intestato alla ex, dove per qualche anno avevano vissuto insieme anche con il bambino nato dalla loro relazione more uxorio.
Per Corte d'appello risulta dimostrato l'oggettivo arricchimento che il contributo economico offerto per l'acquisto, la ristrutturazione e l'arredamento ha determinato nei confronti della donna, unica titolare dell'immobile la quale, pertanto, in caso di vendita potrebbe trarre notevole profitto dal conferimento effettuato dal compagno all'epoca.
Tale arricchimento, per i giudizi, non trova giustificazione nell'obbligazione naturale perché l'attribuzione patrimoniale dei cento milioni di lire (all'epoca) era stata effettuata nel contesto di una vita familiare in comune non connotata da particolare agiatezza e benessere, peraltro protrattasi per un periodo di tempo non lungo, sicchè la dazione appare "significativa" e, pertanto, estranea agli esborsi necessari alla condivisione della vita quotidiana.
Conseguentemente, ad avviso della Corte, il mancato recupero dell'importo, una volta cessata la convivenza, configura un ingiustificato impoverimento del solvens e un ingiustificato arricchimento dell'accipiens che, quale proprietaria dell'immobile, aveva continuato a fruirne e poteva liberamente disporne.
Rimborso all'ex che ha speso molto per la casa della convivente
Una conclusione condivisa dalla Corte di Cassazione che respinge tutti i motivi di ricorso. In particolare, viene ritenuto corretto il ricorso operato, dalla Corte territoriale, a massime di comune esperienza individuate sulla base delle allegate condizioni economiche e sociali non elevate della coppia all'epoca della relazione.
In presenza di un simile quadro patrimoniale e sociale caratterizzante la convivenza del parti, pertanto, l'esborso sostenuto dall'ex è stato ritenuto estraneo a quelli resi necessari dalla condivisione della vita quotidiana, con la conseguenza che il mancato recupero di detta somma configurava l'ingiustizia dell'arricchimento da parte della compagna (cfr. Cass. n. 11330/2009).
Il ragionamento dei giudici, dunque, è compatibile con l'orientamento secondo cui l'azione di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c. può essere proposta solo quando ricorrano due presupposti: a) la mancanza di qualsiasi altro rimedio giudiziale in favore dell'impoverito; b) l'unicità del fatto causativo dell'impoverimento, sussistente quando la prestazione resa dall'improverito sia andata a vantaggio dell'arricchito (cfr. Cass., SS.UU., sent. 24772/2008).
Inoltre, non essendo stata sollevata in precedenza la richiesta di applicare la teoria della presupposizione alla convivenza caratterizzata dalla nascita di un figlil, che avrebbe potuto far presumere una prospettiva di durata del legale rilevante ai fini della proporzionalità e adeguatezza della prestazione stessa, gli Ermellini non possono esprimersi sul punto.
Cass., II civ., sent. n. 21479/2018• Foto: 123rf.com