di Lucia Izzo - No al divieto imposto dal Comune agli alunni delle scuole materne ed elementari di consumare il pranzo portato da casa imponendogli la scelta del servizio di refezione scelto dalla scuola. Va annullato, dunque, il regolamento del Comune che prevede l'obbligatorietà del servizio di ristorazione scolastica limitando così una naturale facoltà dell'individuo afferente alla sua libertà personale, ovvero la scelta alimentare.
È la conclusione raggiunta dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 5156/2018 (qui sotto allegata) che ha respinto il ricorso del Comune di Benevento e avvalorato la pronuncia con cui il TAR di Napoli aveva accolto il ricorso di un gruppo di genitori di alunni delle scuole materne ed elementari.
I genitori contestavano le delibere con cui l'Amministrazione aveva previsto che per tutti gli alunni dovesse essere obbligatorio il servizio di ristorazione scolastica e che nei locali in cui si svolge la refezione scolastica non fosse consentito consumare cibi diversi da quelli forniti dall'impresa appaltatrice del servizio.
Una decisione che il TAR prima e il Consiglio di Stato poi ritengono illegittima. Vi è anzitutto, spiega il giudice dell'impugnazione, un'incompetenza assoluta del Comune che, spingendosi ultra vires, con il regolamento impugnato impone prescrizioni ai dirigenti scolastici, limitando la loro autonomia con vincoli in ordine all'uso della struttura scolastica e alla gestione del servizio mensa.
Inoltre, la decisione interferisce con la circolare 348/2017 del MIUR che, muovendo dal "riconoscimento giurisprudenziale" del diritto degli alunni di consumare il cibo portato da casa (e in attesa della decisione della Cassazione su alcuni ricorsi pendenti), ha confermato la possibilità di consumare cibi portati da casa, dettando alcune regole igieniche ed invitando i dirigenti scolastici ad adottare una serie di conseguenziali cautele e precauzioni.
Mensa scolastica: sì al panino portato da casa
Per il Consiglio di Stato la radicale scelta restrittiva del Comune di interdire senz'altro il consumo di cibi portati da casa, non supportata dimostrate ragioni di pubblica salute o igiene né commisurata a un ragionevole equilibrio, limita una naturale facoltà dell'individuo, afferente alla sua libertà personale, vale a dire la scelta alimentare.
Tale facoltà dell'individuo o, per esso, della famiglia (nel caso di specie i genitori dei minori) può essere legittimamente ristretta solo ove sussistano dimostrate e proporzionali ragioni inerenti opposti interessi pubblici o generali.
Nella specie, la restrizione praticata con l'impugnato regolamento (che nemmeno si preoccupa di ricercare un bilanciamento degli interessi) non corrisponde ai canoni di idoneità, coerenza, proporzionalità e necessarietà rispetto all'obiettivo, dichiaratamente perseguito, di prevenire il rischio igienico-sanitario.
Infatti, l'assunto che "il consumo di pasti confezionati a domicilio o comunque acquistati autonomamente potrebbe rappresentare un comportamento non corretto dal punto di vista nutrizionale" si manifesta irrispettoso delle rammentate libertà e comunque è apodittico. Non risulta, infatti, inibito agli alunni il consumo di merende portate da casa, durante l'orario scolastico mentre, per analogia, si potrebbe ritenere che anche per infatti anche per queste valga la problematica del rischio igienico-sanitario.
Da un altro lato, riguardo la proporzionalità e la necessità della misura, il Consiglio di Stato rileva che la sicurezza igienica degli alimenti portati da casa non può essere esclusa a priori attraverso una regolamento comunale, ma va rimessa al prudente apprezzamento e al controllo in concreto dei singoli direttori scolastici, mediante l'eventuale adozione di misure specifiche, da valutare caso per caso, necessarie ad assicurare, mediante accurato vaglio, la sicurezza generale degli alimenti.
La tassativa e rigorosa prescrizione regolamentare che ha introdotto il divieto di permanenza nei locali scolastici per gli alunni che intendono consumare cibi portati da casa (o acquistati autonomamente) si rivela, pertanto, affetta da eccesso di potere per irragionevolezza, in quanto misura inidonea e sproporzionata rispetto al fine perseguito.
Consiglio di Stato, sent. 5156/2018• Foto: 123rf.com