Per la Cassazione il danno alla salute non sussiste in re ipsa in caso di immissioni intollerabili, ma ciò non impedisce il risarcimento se leso il normale svolgimento della vita familiare

di Lucia Izzo - In tema di immissioni intollerabili, il danno alla salute non può ritenersi sussistente in re ipsa. La mancanza di un danno biologico documentato, tuttavia, non impedisce che il Condomino che lamenta i rumori del vicino possa comunque ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale conseguente ad immissioni illecite in caso di lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare in casa propria.


Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, seconda sezione civile, nell'ordinanza n. 21554/2018 (qui sotto allegata) accogliendo il ricorso di un condomino aveva chiesto il risarcimento danni nei confronti dell'officina rumorosa.


Tuttavia, per la Corte d'Appello, nonostante le immissioni di rumore avessero privato il proprietario della possibilità di godere in modo pieno e pacifico della propria abitazione, non poteva ritenersi provato un danno alla salute. Pertanto veniva ritenuto risarcibile un unico danno, quello della compromissione del pieno svolgimento della vita domestica.


L'importo liquidato in prime cure veniva dunque rideterminato poiché, sulla base dei rilievi effettuati, le immissioni provenienti dall'officina risultavano superare la soglia di normale tollerabilità in un solo ambiente della casa ed in misura contenuta e, inoltre, nel solo orario di apertura dell'officina.


In Cassazione, il ricorrente censura, in particolare, la sentenza impugnata nella parte in cui aveva ridotto il risarcimento del danno ritenendo non provato un danno alla salute: per il condomino, in materia di immissioni intollerabili, il danno non patrimoniale alla salute non avrebbe dovuto essere specificamente provato in quanto sussistente in re ipsa.

Immissioni illecite: la mancanza di un danno alla salute non osta al risarcimento danni

Una conclusione non accolta dagli Ermellini che, invece, ritengono che la sentenza impugnata abbia correttamente affermato che non potesse ritenersi provato un danno alla salute, riconoscendo peraltro al ricorrente il risarcimento del danno derivante dalla lesione al normale svolgimento della vita familiare.


Infatti, chiarisce la Corte, l'assenza di un danno biologico

documentato non osta al risarcimento del danno non patrimoniale conseguente ad immissioni illecite, allorché siano stati lesi il diritto al normale svolgimento della vita familiare all'interno della propria abitazione e il diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, quali diritti costituzionalmente garantiti, nonché tutelati dall'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (Cass. Ss. UU. 2611/2007).

Immissioni: nella liquidazione danni niente contemperamento di priorità dell'uso

Trova accoglimento, invece, la censura secondo cui la Corte d'Appello, nella determinazione dei danni, avrebbe illegittimamente tenuto conto della assoluta priorità temporale dell'attività commerciale esercitata rispetto alla destinazione abitativa.


L'art. 844 c.c., spiega la Cassazione, impone, nei limiti della valutazione della normale tollerabilità e dell'eventuale contemperamento delle esigenze della proprietà con quelle della produzione, l'obbligo di sopportazione di quelle inevitabili propagazioni attuate nell'ambito delle norme generali e speciali che ne disciplinano l'esercizio.


Viceversa, l'accertamento del superamento della soglia di normale tollerabilità comporta, nella liquidazione del danno da immissioni, l'esclusione di qualsiasi criterio di contemperamento di interessi contrastanti e di priorità dell'uso.


In tale ipotesi, infatti, viene in considerazione unicamente l'illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi, si rientra nello schema dell'azione generale di risarcimento danni di cui all'articolo 2043 del codice civile e, specificamente, per quanto concerne il danno non patrimoniale risarcibile, dell'articolo 2059 c.c. (Cass. 5844/2007).


A tale criterio interpretativo non risulta essersi conformata la sentenza impugnata, che ha erroneamente considerato, ai fini dell'ammontare del risarcimento, pure il criterio della "priorità dell'uso". La sentenza va, pertanto, cassata con rinvio relativamente a tale punto.

Cass., II civ., ord. n. 21554/2018

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