di Roberto Cataldi - Nell'immaginario collettivo, l'avvocato rappresenta prima di tutto appartenenza a una classe privilegiata, un professionista capace di trovare soluzioni attraverso l'abilità della parola e la conoscenza delle leggi.
Ma come le idee del singolo possono essere messe in discussione dal gruppo, anche il pensiero collettivo, a un certo punto, deve inevitabilmente scontrarsi con la realtà. E nel caso degli avvocati la realtà è fatta di un unico e importante concetto: "il tempo non è denaro" e i diritti da tutelare sono solo quelli degli altri.
Difficile capire per chi non l'ha vissuto sulla propria pelle che cosa possa significare oggi intraprendere la professione forense. Non si tratta solo di completare 5 anni di studi universitari. C'è anche la pratica, solitamente non retribuita, poi l'esame per conseguire l'abilitazione e, nel mezzo, sacrifici e moltissimo impegno. Terminato il lungo percorso di apprendimento e di formazione, il giovane avvocato dovrà anche fare i conti con l'imponenza di un sistema giudiziario che, sicuramente lo avrà affascinato durante gli anni della formazione ma che da subito inizia a mostrarsi per ciò che è; un apparato malato di elefantiasi e ingabbiato da un formalismo senza senso che ha reso irragionevole la durata dei procedimenti.
Non è solo la lentezza del sistema che può far spegnere qualsiasi entusiasmo. C'è anche l'amarezza nel dover constatare che i magistrati sono così ingolfati di lavoro da non aver neppure il tempo di esaminare, con la dovuta attenzione, gli scritti difensivi e le risultanze istruttorie. Cosa che ovviamente comporta anche un alto margine di errore con le conseguenti implicazioni sociali che ne conseguono!
C'è poi la questione dei minimi tariffari. Da quando sono stati aboliti, gli avvocati, si sono accorti di non avere poi un grosso potere contrattuale con i clienti "forti" e spesso si trovano costretti a dover accettare convenzioni capestro. Anche questo punto ha dei risvolti tutt'altro che positivi.
E se poi un avvocato crede davvero nella Giustizia, non può non provare disgusto quando si trova a dover constatare che fin troppo spesso il processo s'incentra molto più sulle regole procedimentali che sul diritto sostanziale.
In Italia abbiamo ridotto il diritto a una banale questione di forma dove il rispetto dei codici di procedura finisce per far dimenticare il buon senso.
Il formalismo ha preso il sopravvento sulla sostanza ed abbiamo così assistito all'incredibile incremento delle incombenze e dei problemi procedurali che rendono il lavoro di un avvocato particolarmente faticoso e stressante.
Questo inevitabilmente si ripercuote sull'assistito, che in parte subisce quella fatica e quello stress che il proprio avvocato deve sostenere per far valere le sue ragioni.
Ma se il sistema giudiziario italiano sembra oramai prossimo al "punto di non ritorno" un vero giurista non può non avvertire la necessità sempre più impellente di mettere mano all'intero apparato attraverso uno snellimento delle procedure che ingolfano il sistema portando spesso, nel nome del rispetto delle forme, a decisioni aberranti. La forma è diventata lo scopo, mentre la sostanza è stata relegata a un mero dettaglio, un risultato eventuale e successivo al preminente controllo del rispetto del rito.
Che dire poi di tutti quegli interventi legislativi fatti solo per scoraggiare l'accesso alla giustizia? Intraprendere oggi un'azione legale significa imbarcarsi in un'impresa estremamente onerosa per il cittadino e intraprendere un percorso farraginoso persino per gli addetti ai lavori.
In questo scenario gli avvocati e i loro clienti subiscono la vessazione di quella che è diventata un'enorme macchina "ruba tempo". E' triste dover constatare che molti giovani colleghi sono costretti ad abbandonare la professione. Di una cosa però sono certo: se non si mette mano al sistema giustizia per garantire il diritto dei cittadini ad avere giustizia si rischia di mandare a fondo l'intero sistema!
Esiste una soluzione? Certo che sì. Ma occorre riaffermare con forza un principio cardine: quello della prevalenza del diritto sostanziale sul diritto procedurale.
La parola d'ordine deve essere "semplificazione", unico modo per dare una logica alle norme che regolano i procedimenti. Si tratta dunque di de-burocratizzare la giustizia mettendo al bando quei formalismi giudiziari che si sono trasformati in una vera e propria "perversione della legalità".
Oggi più che mai occorre mettere al centro della giustizia le persone e i loro diritti, perché senza diritti non si è più neppure cittadini!
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