di Lucia Izzo - L'inadempimento dell'obbligo vaccinale stabilito dal decreto Lorenzin (D.L. n. 73/2017) costituisce ragione di per sé ostativa all'accesso alle scuole dell'infanzia, a tutela del minore stesso e dell'intera comunità scolastica.
Pertanto, è corretta la decisione di escludere dalla frequenza della scuola dell'infanzia la bambina che i genitori non hanno provveduto a far vaccinare nei tempi previsti. Inoltre, il decreto non prevede alcun "colloquio informativo obbligatorio" quale adempimento preliminare alla vaccinazione, ma solo quale adempimento preliminare alla comminatoria della sanzione amministrativa prevista dalla normativa.
Lo ha chiarito il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte nella sentenza pilota n. 1034/2018 (qui sotto allegata) pronunciandosi sul ricorso dei genitori di una bambina che, nel settembre 2017 si era iscritta al terzo e ultimo anno della scuola dell'infanzia presso una scuola paritaria.
La vicenda, inerente l'anno scolastico 2017-2018, si appalesa comunque attuale alla luce delle previsioni del decreto milleproroghe il quale ha esteso anche per l'a.s. 2018/2019 le disposizioni transitorie (art. 5, comma 1, d.l. 73/2017) che consentono ai genitori di documentare l'avvenuta vaccinazione con un'autocertificazione da sostituire entro il 10 marzo 2019 con la documentazione originale.
Il caso
All'atto dell'iscrizione i genitori avevano dichiarato che la bambina non era stata sottoposta alle vaccinazioni obbligatorie. Pertanto, in applicazione del c.d. decreto Lorenzin, era scattata nei loro confronti la convocazione da parte dell'ASL volta a sottoporre la piccola alle vaccinazioni.
I genitori, inoltre, erano stati invitati a presentare all'istituto scolastico "idonea documentazione comprovante l'effettuazione delle vaccinazioni" o la presentazione della volontà di adesione all'invito alla vaccinazione della figlia da parte dell'azienda sanitaria locale.
I genitori si recavano presso l'ambulatorio giorni dopo l'appuntamento fissato e al solo fine di ottenere un colloquio, senza portare con sé la minore, che quindi non era sottoposta alle vaccinazioni; anche nei mesi successivi la coppia veniva invitata dalla scuola a regolarizzare la situazione vaccinale della bambina, ma senza esito.
Non essendo stata consegnata la "documentazione idonea per l'ammissione e la frequenza della scuola dell'infanzia" ai sensi della normativa vigente, nel mese di novembre l'istituto comunicava ai genitori che la minore non avrebbe potuto più accedere alla scuola e che sarebbe stata riammessa solo una volta presentati i documenti sulla situazione vaccinale.
Da qui l'impugnazione del provvedimento della dirigente di cui la coppia chiede l'annullamento. In sede cautelare, in particolare, il difensore dei genitori rappresenta l'intenzione della coppia a far sottoporre la propria figlia alle vaccinazioni obbligatorie, ma non prima di aver ottenuto un "colloquio informativo" presso l'ASL, così come previsto (a loro dire) dall'art. 3 comma 4 del decreto Lorenzin.
Decreto Lorenzin: nessun "colloquio informativo" obbligatorio
Nel respingere la domanda cautelare avanzata dalla coppia, tuttavia, i giudici del T.A.R. rammentano che il D.L. n. 73/2017, c.d. decreto Lorenzin, convertito in L. 119/17, ha stabilito all'art. 3, commi 1 e 3, che costituisce "requisito di accesso" alla scuola dell'infanzia la presentazione alla scuola:
- della documentazione (o della dichiarazione sostitutiva) attestante che il minore si è sottoposto alle vaccinazioni obbligatorie o è stato giustificatamente esonerato da tale obbligo;
- ovvero, alternativamente, della formale richiesta di vaccinazione all'ASL.
Nel caso di specie, i genitori si erano limitati a manifestare la disponibilità a effettuare solo un colloquio informativo presso l'ASL territorialmente competente, ma non a sottoporre effettivamente la minore a vaccinazione. Secondo il T.A.R., la pretesa di ottenere tale colloquio preliminare a meri fini informativi prima di sottoporre la minore alle vaccinazioni non trova alcun conforto normativo nel D.L. n. 73/2017.
Il provvedimento disciplina unicamente la fase procedimentale successiva all'accertata inosservanza dell'obbligo vaccinale, a tal fine prevedendo che l'ASL, prima che sia comminata ai genitori (o agli esercenti la potestà genitoriale) la sanzione amministrativa pecuniaria prevista dalla stessa norma, debba convocarli preventivamente per un colloquio per fornire ulteriori informazioni sulle vaccinazioni e per sollecitarne l'effettuazione (in funzione evidentemente preventiva dell'irrogazione della sanzione).
Il "colloquio" previsto dalla norma, dunque, non costituisce un adempimento preliminare alla vaccinazione, ma un adempimento preliminare alla comminatoria della sanzione amministrativa. Pertanto, i giudici amministrativi avevano ritenuto che la minore, per essere riammessa alla frequenza scolastica, avesse dovuto essere sottoposta alle vaccinazioni obbligatorie senza la necessità dei colloqui preventivi pretesi (illegittimamente) dai genitori.
L'inadempimento dell'obbligo vaccinale, ha soggiunto il T.A.R., costituisce ragione di per sé ostativa all'accesso alle scuole dell'infanzia (ex art. 3 comma 3 D.L. n. 73/2017), a tutela del minore stesso e dell'intera comunità scolastica.
Illegittimità atto amministrativo a fini risarcitori: non basta la riserva di proporre l'azione
Nell'udienza di merito fissata a luglio 2018 viene dichiarata l'improcedibilità, per sopravvenuta carenza di interesse, della domanda di annullamento del provvedimento impugnato proposta dai ricorrenti essendo ormai conclusosi l'anno scolastico senza che la bambina, non sottoposta alle vaccinazioni obbligatorie, fosse stata riammessa alla frequenza scolastica.
Ciononostante, la coppia spinge affinché l'atto impugnato venga dichiarato illegittimo in vista di eventuali azioni risarcitorie, ma il Collegio ritiene che neppure tale richiesta non possa essere accolta.
Secondo la giurisprudenza, va interpretato restrittivamente l'art. 34, comma 3 c.p.a. e soltanto allorquando la domanda risarcitoria sia stata proposta nello stesso giudizio, oppure quando la parte ricorrente dimostri di aver già incardinato un separato giudizio di risarcimento o che è in procinto di farlo.
Non è perciò sufficiente la mera riserva di proporre l'azione di risarcimento del danno contenuta nel ricorso, come avvenuto nel caso di specie dove la coppia si è limitata a prospettare la mera eventualità di proporre un separato giudizio risarcitorio dinanzi al giudice competente. Respinto il ricorso, i ricorrenti vengono altresì condannati alla rifusione delle spese di lite.
TAR Piemonte, sent. 1034/2018• Foto: 123rf.com