di Valeria Zeppilli - I dipendenti pubblici e privati, in forza di quanto previsto dall'articolo 3, comma 3, della legge numero 104/1992, ogni mese hanno diritto a tre giorni di permesso retribuito dal lavoro per poter assistere una persona con handicap in situazione di gravità.
- Familiari da assistere
- Certificazione
- Dichiarazioni degli altri familiari
- L'esclusività
- Libertà di scelta per il disabile
Familiari da assistere
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La persona da assistere, tuttavia, deve essere il coniuge o un parente o affine entro il secondo grado, o entro il terzo grado se i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età, siano affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.
La legge prevede, poi, che il diritto ai permessi non può essere riconosciuto a più di un lavoratore dipendente per la stessa persona con handicap in situazione di gravità.
Certificazione
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Di conseguenza, chi chiede i permessi di cui alla legge 104 deve normalmente accompagnare la propria domanda con una certificazione di handicap grave del familiare, indicare il grado di parentela, specificare che l'assistito non è ricoverato a tempo pieno e dichiarare che l'assistenza non è prestata da altri familiari.
Se il disabile è parente o affine di terzo grado bisogna infine attestare che i suoi genitori o il coniuge si trovano nelle condizioni individuate dall'articolo 33.
Dichiarazioni degli altri familiari
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Talvolta, specie in alcune amministrazioni pubbliche, accade tuttavia che il dirigente incaricato di esaminare le domande di permesso esiga le dichiarazioni degli altri familiari del soggetto affetto da handicap grave che attestino di non essere loro ad assisterlo perché non sono oggettivamente in grado di farlo.
Orbene: tale richiesta non è coerente con il dettato normativo e non può essere legittimamente avanzata. Infatti, da nessuna parte della legge 104 il godimento dei permessi è subordinato alla circostanza che non vi siano altri familiari in grado di assistere il disabile.
L'esclusività
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L'articolo 33, nel pretendere l'esclusività dell'assistenza, intende affermare solo ed esclusivamente che per uno stesso disabile non è possibile concedere permessi a più di un lavoratore.
Sul punto si veda anche quanto affermato dal Dipartimento della funzione pubblica nel parere numero 13/2008, ovverosia che "la circostanza che tra i parenti del disabile vi siano altri soggetti che possono prestare assistenza non esclude la fruizione dell'agevolazione da parte del lavoratore se questi non chiedono o fruiscono dei permessi (eventualmente perché non impiegati). In tale ottica si menziona l'orientamento della Corte di Cassazione, sez. lav., nella decisione 20 luglio 2004, n. 13481: "Si deve concludere che né la lettera, né la ratio della legge escludono il diritto ai permessi retribuiti in caso di presenza in famiglia di persona che possa provvedere all'assistenza".
Tuttavia, ... l'assistenza va intesa nel senso che il dipendente richiedente i permessi deve essere l'unico lavoratore (soggetto legittimato in base alla normativa specifica) che presta l'assistenza al soggetto disabile, vale a dire che non vi sono altri lavoratori prestanti assistenza che fruiscono di questi permessi per quel soggetto".
Libertà di scelta per il disabile
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Nello stesso senso, ovverosia sull'impossibilità di negare il beneficio dei permessi se vi sono altri familiari in grado di prestare assistenza, si vedano, tra le altre conferme, la sentenza del Consiglio di Stato numero 394/1997 e la circolare Inps numero 90/2007. In quest'ultima, in particolare, si legge che, del resto, "la persona con disabilità in situazione di gravità può liberamente effettuare la scelta su chi, all'interno della stessa famiglia, debba prestare l'assistenza prevista dai termini di legge".
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