di Annamaria Villafrate - L'ordinanza n. 24139/2018 (sotto allegata) della Cassazione ribalta la pronuncia della Corte d'Appello, che ha equiparato l'omessa richiesta del compenso da parte del manager amministratore a una rinuncia vera e propria all'emolumento. Secondo la Suprema Corte questa tesi non è condivisibile, perché l'incarico di amministratore di una società si presume oneroso. Per escludere l'onerosità della carica non è sufficiente che l'amministratore ometta di chiedere il compenso dovuto, ma occorre una specifica previsione statutaria o una clausola del contratto di amministrazione a prevederlo.
La vicenda processuale
Un manager conviene davanti al Tribunale di Gorizia una s.r.l., per sentirla condannare al pagamento delle somme a lui dovute, per aver rivestito la carica di amministratore da dicembre 2001 a maggio 2006. Il Tribunale accoglie la domanda, riconoscendo il diritto all'emolumento in misura inferiore a quanto richiesto. La Corte d'appello, ribaltando la sentenza di primo grado, accoglie invece la tesi della società, secondo la quale il manager avrebbe, per comportamento concludente, rinunciato a qualsiasi compenso per l'attività svolta. Secondo la Corte il manager non avrebbe mai chiesto alcun compenso per l'attività svolta, neppure in fase di dimissioni. Solo nel 2007 il manager avrebbe chiesto per la prima volta l'accantonamento dei compensi, come previsto dall'art 17 dello Statuto. Avverso la sentenza della Corte d'Appello il manager ricorre in Cassazione, affidandosi a due motivi d'impugnazione.
Una condotta meramente omissiva non equivale a una rinuncia valida ed efficace
La Corte di Cassazione, ritenendo fondati entrambi i motivi, con ordinanza n. 24139/2018 accoglie il ricorso del manager poiché: "secondo i principi del sistema vigente, quello di amministratore di società è contratto
che la legge presume oneroso (la norma dell'art. 1709 cod. civ. dettata con riferimento allo schema generale dell'agire gestorio e senz'altro applicabile anche alla materia societaria, come pure posta a presupposto delle previsioni dell'art. 2389 cod. civ., specificamente scritte per il tipo società per azioni). Non v'è dunque ragione di ritenere che il diritto a percepire il compenso rimanga subordinato a una richiesta che l'amministratore rivolga alla società amministrata durante lo svolgimento del relativo incarico. Come ha correttamente precisato la recente pronuncia di Cass., 21 giugno 2017, n. 15382, con l'accettazione della carica, l'amministratore di società acquisisce il diritto a essere compensato per l'attività svolta in esecuzione dell'incarico affidatogli. Un'eventuale gratuità dell'incarico può procedere, di conseguenza, unicamente da una apposita previsione dello statuto della società interessata o da una apposita clausola del contratto di amministrazione."Secondo gli Ermellini non si deve confondere un comportamento meramente omissivo con una rinuncia, la quale, nel momento in cui non è sorretta da parole o scritti, deve comunque esprimere una volontà oggettivamente incompatibile con quella di conservare il diritto al compenso, ipotesi che, nel caso di specie, non si è realizzata. Una condotta meramente omissiva non integra quindi la rinuncia tacita valida ed efficace prevista ai sensi dell'art.1236 c.c.
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Cassazione - ordinanza n. 24139-2018• Foto: 123rf.com