Dott. Carlo Casini - Con la pronuncia n. 40256/2018 (sotto allegata), le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno avuto modo di giungere ad un nuovo approdo interpretativo, che sancisce il potere di scomputare direttamente la porzione di pena applicata per il reato abrogato, senza necessità di disporre l'annullamento della sentenza di patteggiamento.
La sentenza merita di essere analizzata anche se l'ordinanza di rimessione non verteva sulla questione odiernamente da analizzare, ma essendosi anche pronunciata in tema (tema annoso anche se non oggetto ancora di esplicita rimessione alle Sezioni Unite penali, dati i contrasti interpretativi e i diversi approdi a cui sono giunte in maniera difforme le sezioni semplici.
L'orientamento precedente
L'orientamento precedente (Cass. Penale, II Sezione, 5 settembre 2017, n. 40259, Cass. Penale Sezione III, 30 aprile 2015, n.40533, Cass. Penale, Sezione IV penale, 8 novembre 2012, n.57287), odiernamente smentito, tendenzialmente maggioritario, prevedeva che nel caso odiernamente dedotto fosse "tutto da rifare", questo perchè , a detta dei sostenitori di questo orientamento, viene meno uno dei termini essenziali dell'accordo.
Questo naturalmente in continuità concettuale con le teorie che vertono sulla "inscindibilità e intangibilità" del patteggiamento, secondo cui l'annullamento è doveroso oltre che necessario, al fine di poter permettere una nuova valutazione delle parti, necessaria a seguito della intercorsa abolitio, che incide in modo significativo e imprevedibile sull'accordo fatto tra le parti, essendo mutato il quadro normativo rispetto all'origine dell'accordo stesso.
Le argomentazioni a favore dell'orientamento attuale
I sostenitori dello scomputo senza annullamento della sentenza di patteggiamento replicano che tale operazione, in particolar modo di fronte alla Suprema Corte, <<non osta la normale estraneità alle funzioni di legittimità delle valutazioni discrezionali connesse a siffatta materia>>sanzionatoria; trattandosi di un potere del tutto marginale e, inquadrabile nella previsione di cui all'art. 619, comma 3, C.P.P., che abilita la Cassazione a rettificare la specie o la quantità della pena quando ciò derivi dall'applicazione <<di una legge più favorevole all'imputato, ancorchè sopravvenuta alla proposizione del ricorso, salvo il caso che non siano necessari nuovi accertamenti di fatto>>.
D'altro canto, si rileva come non potrebbe essere investito di questa facoltà il giudice a quo, il quale si è limitato a vagliare la pena discussa e concordata tra le parti, senza determinarla, pur magari valutandola congrua.
Neppure il giudice dell'esecuzione potrebbe avere voce in capitolo, non avendo titolo di decidere in proposito, se non quando sia egli a dichiarare l'abolitio criminis ex articolo 673 del C.p.p.
Considerazioni finali e giudizi di valore dell'orientamento odierno
La soluzione oggi avallata dalla Suprema Corte, merita segnalazione al di là della sua valenza nomofilattica, -esclusa dall'investitura delle Sezioni Unite Penali di diversa questione-; poichè asseconda, più che condivisibili esigenze di economia processuale e ragionevole durata del processo, unitamente a quelle di certezza ed effettività della pena.
Una volta rimossa la porzione di pena da collocare sotto abolitio criminis, l'accordo tra le parti sarebbe ancora in tutto e per tutto valido secondo gli estensori (i quali, non condividono la tesi sull'intangibilità del patteggiamento come assunto teorico) , non venendo meno un presupposto di quest'ultimo, essendo volto l'intervento giudiziario ad avvenire in melius, essendo il trattamento sanzionatorio certamente più favorevole all'imputato.
Il limite strutturale
Tutto quanto considerato con questo nuovo approdo giurisprudenziale, trova arresto in un limite strutturale, che rende impossibile lo scomputo sanzionatorio, per cui l'espunzione del reato abrogato non è praticabile qualora l'abolitio criminis abbia riguardato la fattispecie di reato individuata nell'accordo tra le parti quale pena-base su cui 'costruire' la richiesta di patteggiamento.
E' sulla pena-base, che devono computarsi eventuali aumenti di pena per la continuazione, applicate e comparate le eventuali circostanze attenuanti e aggravanti, compresa la recidiva, e operata, la riduzione premiale di un terzo prevista dal rito.
Questo appare il maggiore scoglio argomentativo da superare perchè questo orientamento possa divenire come maggioritario a tutti gli effetti.
Cassazione Sezioni Unite testo sentenza n. 40256/2018Mail: avv.carlo.casini@gmail.com
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