di Valeria Zeppilli - L'articolo 2233 del codice civile, occupandosi del compenso che spetta ai prestatori d'opera intellettuale, stabilisce che lo stesso "se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice".
Così facendo, come sottolineato dalla Corte di cassazione nell'ordinanza numero 25054/2018 qui sotto allegata, tale norma pone una gerarchia di carattere preferenziale, in forza della quale l'accordo tra le parti prevale, mentre le tariffe professionali e gli usi assumono rilievo solo in via subordinata.
In altre parole, quanto stabilito tra le parti è preminente rispetto a ogni altro criterio di liquidazione, con la conseguenza che il compenso è determinato in base alle tariffe e adeguato all'importanza dell'opera solo se manca una convenzione.
Onorari d'avvocato
La sentenza si è occupata in maniera specifica degli onorari dell'avvocato, sancendo che, posto quanto appena visto, l'accordo con il quale il legale e il suo cliente stabiliscono un compenso maggiore rispetto al massimo tariffario, quando ancora le tariffe erano valide, deve ritenersi perfettamente valido, "vigendo il principio di ammissibilità e validità di convenzioni aventi ad oggetto i compensi dovuti dai clienti agli avvocati, anche con previsione di misure eccedenti quelle previste dalle tariffe forensi".
Il principio è ancor più valido oggi, che alle tariffe si sono sostituiti i parametri.
La vicenda
Nel caso di specie, la Corte territoriale aveva ritenuto nulla per violazione dei massimi tariffari la convenzione con la quale avvocato e cliente avevano stabilito un compenso in misura eccedente rispetto a quanto appunto previsto dalle tariffe.
Per la Cassazione, in virtù di quanto visto sopra, tale pronuncia (e la conseguente determinazione giudiziale del compenso) risulta però in violazione della disposizione dell'articolo 2233 e, pertanto, non può che essere riformata.
Corte di cassazione testo ordinanza numero 25054/2018