di Valeria Zeppilli - Il mondo del lavoro, purtroppo, è spesso macchiato da abusi da parte dei lavoratori, che sfruttano le fondamentali tutele che sono loro riconosciute dall'ordinamento ricorrendovi in maniera fraudolenta. Primo tra tutti l'utilizzo improprio delle assenze per malattia.
Dalla Corte di cassazione arriva però una pronuncia idonea a fungere da monito per tutti coloro che vogliono provare a ricorrere a tale espediente. Ci si riferisce alla sentenza numero 25851/2018 qui sotto allegata, che ha confermato in via definitiva la legittimità del licenziamento di un uomo che era stato cacciato dal lavoro per essersi assentato per malattia lamentando uno stato patologico in realtà insussistente.
La vicenda
Più precisamente, nel caso di specie, il lavoratore, dopo essere stato spostato presso un'altra sede lavorativa, aveva inviato un certificato al proprio datore di lavoro, dal quale emergeva che lo stesso soffriva di disturbi di ansia e disagio psichico, che peraltro l'uomo aveva tentato di addebitare al mutamento di mansioni.
Nel corso del giudizio, oltre a essere stato escluso tale nesso causale (anche in ragione del brevissimo lasso temporale di svolgimento delle nuove mansioni), era anche stata ritenuta proporzionata la sanzione espulsiva in ragione dei dubbi attinenti all'effettivo stato patologico del lavoratore. Egli, infatti, era legato al medico che gli aveva certificato la malattia da un legame di amicizia e, peraltro, durante l'assenza dal lavoro aveva lavorato presso l'azienda agricola della madre.
Anche per la Corte di cassazione si tratta di un comportamento contrastante con gli obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, rispetto al quale la sanzione espulsiva risulta proporzionata.
Corte di cassazione testo sentenza numero 25851/2018• Foto: 123rf