Avv. Paolo Accoti - E' noto che pubblicare commenti, fotografie o altri contenuti sui social network, come Facebook, offre la possibilità agli altri utenti di osservare ed anche condividere detto materiale sullo stesso o su altri social network, in virtù delle condizioni generali di licenza di Facebook, da intendersi non esclusiva e trasferibile, per l'utilizzo di qualsiasi contenuto IP pubblicato su Facebook o in connessione con Facebook, salvo non siano espressamente coperti da diritti di proprietà intellettuale.
La giurisprudenza, già da tempo, ha considerato il profilo Facebook quale <<luogo aperto al pubblico>>, in considerazione del fatto che l'accesso risulta consentito a tutti gli utilizzatori del predetto social network (Cass. 37596/2014).
Ciò posto, proprio in considerazione della ampia pubblica diffusione, l'utilizzo improprio di tale strumento spesso porta alla contestazione di alcuni reati che hanno come presupposto proprio la comunicazione con più persone e, pertanto, la divulgazione rivolta a più soggetti.
La casistica è ampia ed eterogenea, si passa dalle molestie (art. 660 Cp), agli atti persecutori cd. stalking (art. 612 bis Cp), dalla violazione del diritto d'autore, al licenziamento fino all'addebito della separazione dei coniugi.
Senza dimenticare l'ipotesi più frequente, vale a dire quella della diffamazione
aggravata, ex art. 595 Cp, a mente del quale, chiunque, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032, con l'aggravante, appunto, del III comma, per cui se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516.E proprio di diffamazione aggravata si è di recente occupata la Corte di Cassazione, V Sezione penale, con la sentenza n. 40083, pubblicata in data 6 settembre 2018.
La stessa, infatti, ha avuto modo di affermare come la comunicazione di contenuti diffamatori con più persone, avvenuta sul social network denominato Facebook e, in particolare, attraverso la "bacheca" di un utente, visualizzabile da tutti coloro che hanno accesso all'anzidetto profilo, costituisce diffamazione aggravata.
Ciò perché la pubblicazione di contenuti attraverso i social network rappresenta senza dubbio una forma di "comunicazione con più persone" e, pertanto, corrisponde perfettamente alla fattispecie delineata dall'art. 595, III comma, Cp.
Ed invero tale condotta diffamatoria risulta potenzialmente idonea a raggiungere un numero indefinito e numericamente considerevole di persone, a prescindere se, tra queste, vi sia anche il "destinatario" delle espressioni offensive.
La vicenda di merito
A seguito di sentenza di condanna in primo grado, un utente del noto social network veniva ritenuto responsabile dei reati di ingiuria, minaccia e diffamazione ai danni della sua ex convivente e, quindi, condannato alla pena di giustizia.
Il Tribunale di Cagliari, in sede di gravame, assolveva lo stesso dal reato di ingiuria, siccome depenalizzato e rideterminava la pena - in relazione al reato di diffamazione a mezzo Facebook per alcune frasi ingiuriose pubblicate sulla propria "bacheca" on line -, quantificandola in 150.00 euro di multa, con condanna al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile (l'ex convivente), oltre al pagamento delle spese del giudizio.
Propone ricorso per cassazione avverso l'anzidetta sentenza l'imputato, eccependo la violazione degli artt. 521 e 522 Cpp, la carenza e contraddittorietà della motivazione e il travisamento della prova.
Il giudizio di legittimità
La Corte di Cassazione rileva dall'istruttoria espletata nel giudizio di merito come la condotta dell'imputato si inquadra in un più ampio contesto di minacce, molestie e maltrattamenti nei confronti della persona offesa, ex convivente dell'incolpato, che hanno portato alla condanna dello stesso per il reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi, ex art. 572 Cp, nel quale è stato ricompreso dal Tribunale quello di minaccia.
Il Giudice di legittimità da atto che <<l'imputazione si riferisce ad una comunicazione (dei contenuti diffamatori contestati) con più persone, sul social network denominato facebook, che non esclude affatto l'utilizzo di una "bacheca" per tale diffusione (e cioè di un "luogo virtuale", collegato al profilo soda! dell'utente, all'interno del quale è possibile inserire post, immagini, filmati, link che vengono visualizzati da tutti coloro che hanno accesso a detto profilo).>>.
A tal proposito ricorda come <<la costante giurisprudenza di legittimità, infatti, afferma senza dubbio, proprio con riferimento ai messaggi ed ai contenuti diffusi tramite facebook, che la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l'uso di una bacheca "facebook" integra un'ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell'art. 595, comma terzo, cod. pen., poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone (Sez. 1, n. 24431 del 28/4/2015, Rv. 264007; Sez. 5, n. 4873 del 14/11/2016, dep. 2017, Manduca, Rv. 269090), né l'eventualità che fra i fruitori del messaggio vi sia anche la persona a cui si rivolgono le espressioni offensive, roma consente di mutare il titolo del reato nella diversa ipotesi di ingiuria (Sez. 5, n. 44980 del 16/10/2012, Nastro, Rv. 254044).>>.
Nel caso di specie, continua la Corte, alcun dubbio può nutrirsi in merito alla pubblica diffusione delle frasi ingiuriose, considerato che il mezzo utilizzato per la loro comunicazione è certamente idoneo - <<e concretamente ha dimostrato di esserlo>> - a trasmetterlo a più persone.
A tal proposito, infatti, è stato affermato <<che deve presumersi la sussistenza del requisito della comunicazione con più persone qualora l'espressione offensiva sia inserita in un supporto (nella specie, un registro) per sua natura destinato ad essere normalmente visionato da più persone (Sez. 5, n. 3963 del 6/7/2015, dep. 2016, Rv. 265815). Ebbene, non vi è dubbio che la funzione principale della pubblicazione di un messaggio in una bacheca o anche in un profilo facebook sia la "condivisione" di esso con gruppi più o meno ampi di persone, le quali hanno accesso a detto profilo, che altrimenti non avrebbe ragione di definirsi social.>>.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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