di Lucia Izzo - Nella sentenza n. 26042/2018, la sezione lavoro della Corte di Cassazione ha fatto il punto relativamente all'evoluzione giurisprudenziale e normativa sui limiti di pignorabilità dei crediti aventi ad oggetto somme versate a titolo previdenziale.
In sostanza, si discute di quelle ipotesi in cui l'INPS verifichi che il contribuente ha percepito somme a cui non aveva diritto e, pertanto, agisce in qualità di creditore aggredendo il conto corrente del debitore.
Tali somme, tuttavia, sono pignorabili solo entro determinati limiti (il c.d. quinto) posto che sul conto possono essere presenti anche somme percepite a diverso titolo che si sono "confuse" nel patrimonio del debitore. La sentenza in oggetto si è occupata proprio di questo argomento, definendo la disciplina attuale a seguito delle modifiche intervenute nel 2015.
- Il caso
- INPS e pignoramento conto corrente: la riforma del 2015
- Riforma: il discrimine temporale per le nuove regole
- Pignorabilità indistinta ex art. 2740 del codice civile ante 2015
Il caso
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Nel caso di specie, la Corte d'Appello aveva dichiarato legittimo il pignoramento eseguito dall'INPS, creditore procedente, sul conto corrente del debitore esecutato, per recuperare la sola parte eccedente l'importo impignorabile per legge, riferito a un rateo delle pensioni complessivamente fruite dal pensionato.
La Corte territoriale, esclusa la possibilità di confusione patrimoniale per la connotazione omogenea delle somme accreditate, riteneva permanere sul denaro accreditato, lo stesso vincolo giuridico della parziale impignorabilità.
Ciò in ragione, non solo, della provenienza delle somme accreditate da trattamenti pensionistici, ma anche, e soprattutto, della funzione essenzialmente assistenziale nella quota intangibile riferita a un rateo mensile.
Pertanto, sarebbe stato legittimo il pignoramento del saldo attivo del conto per la sola parte eccedente un rateo mensile delle due pensioni, di importo minimo, fruite dal debitore esecutato. Una conclusione respinta dall'INPS in quanto le limitazioni al pignoramento previste dal codice di rito valgono solo per il pignoramento eseguito presso l'ente erogatore del trattamento pensionistico.
Non possono valere, invece, come nel caso di specie, qualora il pignoramento sia stato eseguito presso l'istituto bancario o altro ente con il quale il debitore intrattiene un rapporto di conto corrente poiché, in tal caso, l'originario titolo pensionistico viene meno e il credito del debitore pignorato altro non è che il credito alla restituzione delle somme depositate che trova titolo nel rapporto di conto corrente.
Inoltre, per l'ente previdenziale, in virtù dell'accredito sul conto corrente di soli emolumenti pensionistici del debitore esecutato, potrebbero rinvenirsi somme anche ingenti, frutto di risparmio accumulato nel tempo, il che escluderebbe la prevalenza della protezione delle esigenze di sussistenza del debitore pensionato sulle ragioni del creditore.
INPS e pignoramento conto corrente: la riforma del 2015
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Gli Ermellini ripercorrono i maggiori interventi della giurisprudenza e del legislatore, in particolare a partire dal 2015, che hanno portato all'attuale normativa in materia. Fondamentale, appare la sentenza n. 85/2015 della Corte Costituzionale.
Questa ha ribadito che le somme dovute dal pensionato (o dal lavoratore), a qualsiasi titolo, una volta transitate su un conto corrente postale o bancario, si confondono giuridicamente con quest'ultimo e non sono, nel concreto, applicabili le limitazioni alla pignorabilità previste dall'art. 545 c.p.c. e da altre leggi speciali.
Nello specifico, una volta che l'ente previdenziale ha adempiuto alla sua obbligazione, le somme versate al pensionato sul suo conto corrente perdono la loro identità di crediti pensionistici e, conseguentemente, la protezione del minimo vitale.
Per la Consulta, in particolare, è il credito per il saldo di conto corrente, benché alimentato da rimesse pensionistiche, a non godere dell'impignorabilità relativa prevista, invece, per i crediti vantati direttamente nei confronti dell'Istituto di previdenza. Il Giudice delle leggi ha poi esortato il legislatore a fornire un rimedio per assicurare condizioni di vita minime al pensionato.
Risposta giunta con il decreto-legge n. 83/2015 che, aggiungendo alcuni commi all'art. 545 c.p.c., ha stabilito che le somme dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, possono essere pignorate, per l'importo eccedente il triplo dell'assegno sociale, quando l'accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento.
Invece, quando l'accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, le predette somme possono essere pignorate nei limiti previsti dal terzo, quarto, quinto e settimo comma dell'art. 545 c.p.c., nonché dalle speciali disposizioni di legge.
Il pignoramento eseguito in violazione dei divieti e oltre i limiti previsti dallo stesso e dalle speciali disposizioni di legge è parzialmente inefficace, inefficacia che può essere rilevata dal giudice anche d'ufficio.
Solo a seguito dell'intervento riformatore è stato, dunque, introdotto il principio (valido anche per i crediti retributivi) per cui l'operazione contabile di accreditamento della pensione su un conto corrente intestato al creditore fa conservare comunque la funzione connessa al titolo previdenziale per il quale il denaro è stato percepito, purché le somme siano accreditate direttamente dall'ente previdenziale e risulti chiaramente intelligibile la causale del versamento.
Riforma: il discrimine temporale per le nuove regole
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Lo stesso legislatore ha anche fissato il discrimine temporale per l'applicazione delle nuove regole con riferimento alle procedure esecutive iniziate successivamente alla data di entrata in vigore del decreto-legge, nel novero delle quali non rientra, ratione temporis, la procedura all'esame del Collegio.
Tuttavia, secondo ila citata sentenza del 2015, la chiara esclusione dell'impignorabilità parziale relativa non può precludere, in radice, la tutela dei principali bisogni collegati alle esigenze di vita del soggetto pignorato.
Tuttavia, l'individuazione e le modalità di salvaguardia della parte di pensione necessaria ad assicurare al beneficiario mezzi adeguati alle sue esigenze di vita è riservata alla esclusiva discrezionalità del legislatore che ha anche il compito di razionalizzare il quadro normativo (antecedente dunque alla riforma del 2015) in coerenza con i precetti dell'art. 38 Cost..
Neppure è esperibile un'interpretazione estensiva, atteso che i limiti alla pignorabilità dei beni del debitore costituiscono deroghe al principio generale della responsabilità patrimoniale, tassativamente previste dalla legge ed insuscettibili, pertanto, di estensione analogica.
Pignorabilità indistinta ex art. 2740 del codice civile ante 2015
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Pertanto, nel quadro normativo applicabile al pignoramento in esame, con il versamento sul conto corrente delle somme dovute a titolo pensionistico si è verificata l'estinzione, pro rata, del rapporto obbligatorio corrente tra il pensionato ed il terzo debitore del trattamento economico.
Il denaro versato in conto, seguendo l'ordinario regime dei beni fungibili, secondo le regole del deposito irregolare (art. 1782 cod. civ.), è divenuto di proprietà dell'istituto di credito (artt. 1834 e 1852 e ss. c.c.), con contestuale nascita di un diverso rapporto obbligatorio tra l'istituto di credito e il depositario o correntista.
Questo si compendia nel diritto a richiedere, in ogni momento, il saldo attivo risultante dal conto e per il quale non sono previsti limiti di pignorabilità dipendenti dalle cause che diedero origine agli accrediti. A ciò consegue la pignorabilità indistinta delle somme giacenti sul conto corrente, secondo il principio generale sancito dall'art. 2740 del codice civile.
La sentenza impugnata, non essendosi conformata ai principi esposti, va cassata e la causa rinviata alla stessa Corte d'appello, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
Cass., sezione lavoro, sent. n. 26042/2018• Foto: 123rf.com