di Valeria Zeppilli - Con riferimento all'attività professionale svolta da avvocati, occorre considerare che il contratto di patrocinio è cosa ben diversa dalla procura alle liti: il primo è un negozio bilaterale fondato sullo schema del mandato, con il quale il cliente incarica il professionista di svolgere la sua opera; la procura alle liti, invece, è il negozio unilaterale con il quale il cliente investe l'avvocato del potere di rappresentarlo in giudizio.
Tale distinzione comporta delle rilevanti conseguenze in tema di forma e di prova, sulle quali si è di recente soffermata la Corte di cassazione con la sentenza numero 26522/2018 qui sotto allegata.
Conseguenze su forma e prova
In particolare se, da un lato, si può affermare che la procura alle liti assolve all'onere di forma eventualmente richiesto per il contratto e ne fornisce la prova, dall'altro lato essa non è indispensabile ai fini della conclusione del contratto di patrocinio, per il quale non è nemmeno richiesta la forma scritta. La procura ad litem, in altre parole, serve solo per lo svolgimento di attività processuale.
Il diritto al compenso
Per i giudici, inoltre, bisogna considerare che ai fini della conclusione del contratto di patrocinio non rileva il versamento di un fondo spese o di un compenso prima o durante lo svolgimento del rapporto professionale e ciò per due ordini di ragioni: sia perché il mandato può essere anche gratuito, sia perché, anche quando lo stesso è oneroso, il compenso e il rimborso spese possono essere comunque chiesti dopo.
Di conseguenza, il diritto al compenso nasce dal conferimento del mandato e dall'espletamento dell'incarico, a prescindere dalla sussistenza della procura e a prescindere dal previo versamento di somme o dalla corresponsione di un fondo spese.
Corte di cassazione testo sentenza numero 26522/2018