Avv. Paolo Accoti - Il Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, ha introdotto il regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, ai sensi dell'articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, pubblicato sulla G.U. in data 2.04.2014.
Compensi professione forense: i parametri per la liquidazione
Tale regolamento, così come si evince dall'art. 1, disciplina i parametri dei compensi all'avvocato quando all'atto dell'incarico o successivamente il compenso non sia stato determinato in forma scritta, in ogni caso di mancata determinazione consensuale degli stessi, comprese le ipotesi di liquidazione nonché di prestazione nell'interesse di terzi o prestazioni officiose previste dalla legge, ferma restando — anche in caso di determinazione contrattuale del compenso — la disciplina del rimborso spese di cui al successivo articolo 2.
Il richiamato articolo 2, dispone che il compenso dell'avvocato è parametro all'importanza dell'opera prestata per la quale, oltre al compenso professionale vero e proprio, è dovuto anche il rimborso delle spese documentate, nonché una somma per rimborso spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione.
Al predetto regolamento sono allegate le <<tabelle parametri forensi>> sulla scorta delle quali viene determinato concretamente il compenso dovuto all'avvocato per il giudizio dallo stesso patrocinato.
Le stesse prevedono quattro fasi giudiziali (studio della controversia; introduttiva del giudizio; istruttoria e/o trattazione; decisionale), risultano suddivise in sei scaglioni in relazione al valore del giudizio (da € 0,01 fino a € 520.000), con riferimento all'organo giudicante ed alla tipologia di giudizio.
Il regolamento prevede ancora che tali tariffe possono essere variate in relazione alle caratteristiche del giudizio e, in particolare, per il pregio dell'attività prestata, per l'importanza, la natura, la difficoltà e il valore della causa e sulla scorta di altri paramenti dettagliatamente indicati.
Pertanto, nella liquidazione dei compensi, il Giudice deve tenere conto dei valori medi delle predette tabelle che, come detto, in applicazione dei parametri sopra visti, possono essere aumentati, di regola, fino all'80 per cento, o diminuiti fino al 50 per cento.
Infine, il regolamento stabilisce che quando l'avvocato rappresenta e difende più parti, ovviamente nella medesima posizione processuale, il compenso unico per il professionista può, di regola, essere aumentato per ogni soggetto oltre il primo nella misura del 20 per cento, fino ad un massimo di dieci soggetti, e del 5 per cento per ogni soggetto oltre i primi dieci, fino a un massimo di venti.
Orbene, il D.M. 55/2014 e le relative tabelle forensi regolano esclusivamente le competenze professionali dell'avvocato, da liquidare con la condanna giudiziale al pagamento delle spese in danno della parte soccombente, e non i compensi dovuti all'avvocato dal proprio cliente.
Ciò in ragione della differente obbligazione pecuniaria tra le due fattispecie: quella nei confronti del proprio cliente sorge dal contratto di prestazione d'opera intercorso tra avvocato e cliente; quella giudiziale nei confronti della parte soccombente sorge in virtù del principio di causalità ed è regolata dalla predette tariffe forensi.
Conseguentemente, il cliente è sempre obbligato a corrispondere i diritti e gli onorari all'avvocato dallo stesso nominato, anche in caso di soccombenza in giudizio, ovvero in caso di vittoria, tuttavia, in questo caso gli onorari dovuti dal cliente non sono vincolati alla pronuncia sulle spese che ha definito il giudizio.
Con riferimento ai parametri forensi e, pertanto, alla liquidazione delle spese giudiziali a carico della parte soccombente, le tariffe indicate nel D.M. 55/2014 non possono essere derogate - sia nei minimi che nei massimi - dal Giudice con la sentenza che liquida le spese del giudizio.
Salvo i casi particolari indicati, quali, ad esempio, la pluralità di parti rappresentate o per le motivazioni di cui ai parametri generali dettati dall'art. 4 del predetto regolamento.
Questi i principi dettati dalla Corte di Cassazione, nell'ordinanza n. 28267, depositata in data 6 novembre 2018.
La massima
Come detto, la Corte di Cassazione nell'ordinanza sopra richiamata, nel definire il giudizio di legittimità nel quale si era dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 92 Cpc, 13, L. 247/2012 e artt. 2, 4 e 11 D.M. 55/2014, ha statuito che <<nel vigore del D.M. 55/2014 (e a differenza del regime del D.M. 140/2012, il cui art. 1 comma settimo dispone che in nessun caso le soglie numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente decreto e nelle tabelle allegate, sono vincolanti per la liquidazione stessa), il giudice è tenuto liquidare a titolo di compenso somme non superiori al massimo e non inferiori al minimo previsto dai parametri, poiché il citato decreto contiene disposizioni speciali e sopravvenute rispetto a quelle del D.M. 140/2012, direttamente volte a regolare la materia delle spese processuali e non i rapporti tra l'avvocato ed il cliente (cfr. Cass. 1018/2018).>> (Cass. 28267/2018).
I precedenti giurisprudenziali
<<In tema di liquidazione delle spese processuali, il giudice, in presenza di una nota specifica prodotta dalla parte vittoriosa, non può limitarsi ad una globale determinazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato in misura inferiore a quelli esposti, ma ha l'onere di dare adeguata motivazione della eliminazione e della riduzione di voci da lui operata, allo scopo di consentire, attraverso il sindacato di legittimità, l'accertamento della conformità della liquidazione a quanto risulta dagli atti ed alle tariffe, in relazione alla inderogabilità dei relativi minimi a norma dell'art. 24 della L. 13 giugno 1942, n. 794.>> (Cass. 14038/2017).
<<In tema di liquidazione delle spese processuali, ove la richiesta degli onorari di avvocato, benché non accompagnata dal deposito di una nota specifica, sia formulata in relazione ai minimi previsti dalla tariffa forense, la loro riduzione senza motivazione è illegittima, in quanto si pone in contrasto con il principio della inderogabilità dei minimi edittali sancito dall'art. 24 della l. n. 794 del 1942.>> (Cass. 22991/2017; con. Cass. 17975/2017; Cass. 25992/2018; Cass. 19113/2018).
Cass. civ., Sez. II, 06.11.2018, n. 28267D.M. 55/2014 e tariffe forensi
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