di Annamaria Villafrate - Chi subisce mobbing da un condominio, nella veste di datore di lavoro, ha l'onere di provarlo. A stabilirlo è l'ordinanza n. 25872/2018 della Cassazione (sotto allegata), chiamata a pronunciarsi sul ricorso di un portiere a cui in primo grado e in appello è stato negato il ristoro richiesto per aver subito condotte mobbizzanti da parte dell'amministratore e dei vari condomini. Gli Ermellini, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, non hanno giudicato l'operato del secondo giudice in particolare, superficiale. Il giudice d'appello infatti, secondo la Suprema Corte avrebbe vagliato attentamente tutto il materiale probatorio, dal quale però, come chiarito anche nella sentenza impugnata, non sarebbero emersi elementi tali da configurare una condotta mobbizzante tale da giustificare una richiesta risarcitoria per danno biologico, morale ed esistenziale.
La vicenda processuale
Un soggetto conviene un condominio dinanzi al tribunale, esponendo aver lavorato presso di esso come portiere con alloggio, regolarmente inquadrato dal 1993 al 2008. L'attore dichiara inoltre di aver subito un comportamento persecutorio da parte dell'amministratore e di alcuni condomini, di non aver percepito una retribuzione adeguata alle mansioni e di aver subito un licenziamento
illegittimo. Per i suddetti motivi impugna il licenziamento e chiede la condanna del condominio datore di lavoro al risarcimento del danno biologico, morale ed esistenziale. Il Giudice accogliendo in parte il ricorso condanna il condominio al pagamento di più di 82.0000 euro, a titolo di differenze retributive e t.f.r., rigettando le domande relative alla dichiarazione della illegittimità del licenziamento e risarcimento del danno da mobbing.La Corte d'appello conferma la sentenza di primo grado relativamente all'insussistenza di elementi in grado di configurare una condotta vessatoria del condominio datore di lavoro, per assenza della intenzionalità del comportamento mobbizzante e per l'ascrivibilità della stessa a più datori, identificabili nei vari condomini. Considerazioni che fanno ritenere legittimo il licenziamento, per inabilità al lavoro. Ricorre in cassazione il portiere, resiste con controricorso il condominio
I motivi del ricorso
Focalizzando l'attenzione sui motivi del ricorso relativi alla richiesta di risarcimento del danno per condotta mobbizzante dell'amministratore e dei condomini, il ricorrente:
- si duole che la Corte "abbia escluso che l'impossibilità sopravvenuta delle prestazioni per motivi di salute fosse riconducibile ad una condizione patologica imputabile al datore di lavoro, trascurando di considerare una serie di fatti riconducibili all'osservanza di orari di lavoro eccedenti i limiti della legge n.66/2003; alla mancata fruizione delle ferie nella misura spettante; al pagamento di spese ingiustificate; tutte oggetto di discussione fra le parti e decisive ai fini della valutazione della ricorrenza del mobbing" e che abbia sottovalutato le minacce e le violenze a lui rivolte dai condomini, così come emerse dalle testimonianze;
- lamenta l'omessa pronuncia da parte della Corte d'Appello sul punto in cui si metteva in risalto come "le condotte poste in essere dai condomini gravemente lesive dell'integrità psicofisica del soggetto, anche se atomisticamente considerate, implicavano il diritto del danneggiato al ristoro, sotto il profilo del danno biologico, morale, esistenziale."
Chi sostiene di aver subito mobbing dal condominio deve provarlo
La Suprema Corte, nell'ordinanza n. 25872/2018 respinge le suddette doglianze del portiere, poiché a suo giudizio, il giudice di seconda istanza ha vagliato con attenzione tutto il materiale, valutando correttamente il diverso valore probatorio delle testimonianze e della documentazione prodotta. Essa ha altresì vagliato adeguatamente le denunciate condotte dei condomini, escludendo che potessero configurare una condotta mobbizzante con conseguente condanna al risarcimento del danno. Considerazione che nega di conseguenza anche il denunciato collegamento tra il mobbing subito e la sopravvenuta inabilità al lavoro. Gli Ermellini si rimettono in sostanza alle conclusioni del giudice di secondo grado, poiché "L'espletato accertamento investe, infatti, pienamente, per quanto sinora detto, la quaestio facti, e rispetto ad esso il sindacato di legittimità si arresta entro il confine segnato dal novellato art.360, co. 1, n. 5, c.p.c., così come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 7 aprile 2014."
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Cassazione ordinanza n. 25872-2018• Foto: 123rf.com