Avv. Paolo Accoti - Ai sensi dell'art. 1117 Cc sono di proprietà comune dei singoli proprietari, e tanto a prescindere dall'eventuale godimento periodico del bene, tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune, come il suolo su cui sorge l'edificio, le fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni di ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e le facciate; le aree destinate a parcheggio nonché i locali per i servizi in comune, come la portineria, incluso l'alloggio del portiere, la lavanderia, gli stenditoi e i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all'uso comune; le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all'uso comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l'energia elettrica, per il riscaldamento ed il condizionamento dell'aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche.
L'elencazione dei beni fornita dall'art. 1117 Cc non è esaustiva, atteso che i beni - quand'anche non espressamente menzionati - in ragione delle proprie caratteristiche funzionali e strutturali, possono comunque risultare comuni.
Ed invero, la caratteristica da prendere in considerazione al fine di stabilire la condominialità, o meno, dei beni non elencati nell'art. 1117 Cc, è quella strutturale rispetto all'edificio e, pertanto, occorre considerare il suo rapporto di dipendenza con il complesso immobiliare ovvero l'attitudine funzionale, anche solo potenziale, del medesimo bene, ciò a prescindere dall'utilità particolare che può trarre dallo stesso il singolo condomino (Cfr.: Cass. n. 17556/2014).
Illegittima occupazione di beni comuni
Ciò posto, l'orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità prevede che, in caso di illegittima occupazione di tali beni comuni, il danno subito dal comproprietario degli stessi risulta "in re ipsa", vale a dire che è connaturato alla cosa stessa.
Nel caso concreto il danno deriverebbe immediatamente dalla perdita della disponibilità del bene, con tutte le conseguenze in ordine all'impossibilità di ottenere le utilità dallo stesso ricavabili.
Tale danno, pertanto, risulta accertabile mediante semplici presunzioni e la relativa liquidazione può essere effettuata dal Giudice con riferimento al cd. danno figurativo, come il valore locativo del bene usurpato, con conseguente possibilità di liquidazione equitativa ex art. 1226 Cc.
Questi i principi espressi dalla Corte di Cassazione, II Sez. civile, nell'ordinanza n. 30472, depositata in data 23 novembre 2018.
Il giudizio di merito
Un condomino citava in giudizio il proprietario di un locale commerciale terraneo, ubicato nel medesimo condominio, al fine di sentire accertare il suo diritto di comproprietà su di un'area adiacente all'edificio e sulla quale insistono dei garage, di cui uno di proprietà dello stesso, occupata mediante l'apposizione di paletti e catene che ne impediscono l'accesso agli altri condòmini, con contestuale domanda di risarcimento dei danni.
Si costituiva in giudizio il condomino convenuto rivendicando la proprietà esclusiva del bene per la quale, a tal uopo, spiegava domanda riconvenzionale.
All'esito della consulenza tecnica d'ufficio e delle prove testimoniali, il Tribunale di Ancona - Sezione Distaccata di Fabriano, rigettava la domanda principale e, in accoglimento di quella riconvenzionale, dichiarava la natura pertinenziale del piazzale rispetto al negozio di proprietà del convenuto e, pertanto, il diritto di proprietà esclusivo dello stesso.
Tuttavia, all'esito del gravame interposto dall'attore, la Corte d'Appello di Ancona, accertata la contitolarità della corte comune, condannava il convenuto alla rimozione dei paletti e delle catene allocate, con il rigetto della spiegata domanda riconvenzionale e della domanda di risarcimento dei danni avanzata dall'attore.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione il convenuto, resiste con controricorso il condomino attore, spiegando anche ricorso incidentale in relazione al rigetto della domanda di risarcimento danni.
Il giudizio di legittimità
La Corte di Cassazione, per quel che interessa in questa sede, rigetta il ricorso principale e passa ad esaminare quello incidentale, in particolare, i due motivi di ricorso, la violazione e falsa applicazione di legge in merito alla non scrutinata eccezione di nullità della perizia espletata in primo grado e la mancata delibazione in merito alla dedotta nullità della sentenza di primo grado, per violazione del principio del contraddittorio.
Entrambi i motivi, esaminati congiuntamente stante la loro evidente connessione, sono fondati e, pertanto, vengono accolti.
A tal proposito il Giudice di legittimità rileva come la Corte territoriale abbia disatteso la richiesta di risarcimento dei danni, omettendo di verificare e, quindi, motivare, circa la possibilità di una liquidazione equitativa del danno, ex art. 1226 c.c., escludendone a priori l'applicabilità al caso concreto.
A tale riguardo, ricorda come <<l'orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità afferma che, nel caso di occupazione illegittima di un immobile il danno subito dal proprietario è in re ipsa, discendendo dalla perdita della disponibilità del bene, la cui natura è normalmente fruttifera, e dalla impossibilità di conseguire l'utilità da esso ricavabile, sicchè costituisce una presunzione iuris tantum e la liquidazione può essere operata dal giudice sulla base di presunzioni semplici, con riferimento al cd. danno figurativo, quale il valore locativo del bene usurpato (Cass. n. 20545 del 2018; Cass. n. 1193 del 2018; Cass. n. 16670 del 2016; Cass. n. 20823 del 2015).>>.
E' vero, continua la Suprema Corte, che un <<diverso orientamento, minoritario, ritiene che il danno da occupazione abusiva di immobile non può ritenersi sussistente in re ipsa e coincidente con l'evento, che è viceversa un elemento del fatto produttivo del danno, ma, ai sensi degli artt. 1223 e 2056 cod. civ., trattasi pur sempre di un danno conseguenza, sicchè il danneggiato che ne chieda in giudizio il risarcimento è tenuto a provare di aver subito un'effettiva lesione del proprio patrimonio per non aver potuto locare o altrimenti direttamente e tempestivamente utilizzare il bene, ovvero per aver perso l'occasione di venderlo a prezzo conveniente o per aver sofferto altre situazioni pregiudizievoli, con valutazione rimessa al giudice del merito, che può al riguardo avvalersi di presunzioni gravi, precise e concordanti (Cass. n. 13071 del 2018; Cass. n. 18494 del 2015; Cass. n. 15111 del 2013).>>.
Nondimeno, però, è stato pure rilevato come il contrasto appare solo apparente, atteso che <<la tesi del danno in re ipsa non prescinde dal predetto accertamento, ma si limita ad affidare alla prova logica presuntiva, ritenendo che la allegazione da parte del danneggiato di determinate caratteristiche materiali e specifiche qualità giuridiche del bene immobile, consentano di pervenire alla prova - fondata su una ragionevole certezza, la cui rispondenza logica deve essere verificata alla stregua del criterio probabilistico dell'id quod plerumque accidit - che "quel tipo di bene immobile" sarebbe stato destinato ad un impiego fruttifero.>>.
Ecco che allora, i pur ipotetici differenti precedenti, non attengono alla necessità della prova del danno, <<ma si risolvono nella diversa specificità delle fattispecie concrete esaminate, avuto riguardo alle peculiari circostanze addotte dal danneggiato in relazione alle caratteristiche del bene immobile, alle qualità soggettive del titolare dello stesso, oltre che ad altre rilevanti circostanze fattuali, elementi tutti che consentono di pervenire all'accertamento del probabile impiego che dell'immobile avrebbe fatto il legittimo titolare (Cass. n. 13224 del 2016).>>.
In definitiva, quindi, entrambi i motivi del ricorso incidentale devono essere accolti e la sentenza cassata con rinvio alla Corte d'Appello di Ancona, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
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