Per la Cassazione sono molesti i corteggiamenti insistenti e non graditi che costringono la vittima a modificare le proprie abitudini

di Lucia Izzo - Il corteggiamento può sfociare in vere e proprie molestie, con conseguente condanna penale, qualora sia eccessivo e volgare, contro il gradimento del destinatario delle attenzioni. Lo dimostra la vicenda di un anziano signore, condannato per aver corteggiato per mesi, in maniera ossessiva e poco galante, la dipendente di un bar.


La Corte di Cassazione, prima sezione penale, nella sentenza n. 55713/2018 (qui sotto allegata) ha ritenuto legittima la condanna, ex art. 660 c.p., a 500 euro di ammenda comminatagli a causa della sua condotta molesta nei confronti della donna di cui affermava di essersi invaghito.

Il caso

In particolare, l'anziano aveva più volte avvicinato la donna quando nel bar non vi erano avventori, rivolgendole insistenti richieste ed espressioni dall'inequivoco tenore sessuale e giungendo addirittura al punto di seguirla quando costei si era recata a prendere la propria figlia a scuola

La sua condotta, hanno rilevato i giudici di merito sulla base delle risultanze probatorie, si era concretizzata in un atteggiamento di invadenza e intromissione, continua e inopportuna, nella sfera di libertà della persona offesa.

Comportamenti che avevano costretto la donna a cambiare le proprie abitudini: non solo, questa evitava di uscire fuori dal bancone del bar, ma aveva cambiato i propri orari di rientro in casa, con conseguente sussistenza della fattispecie contestata.

Molestie: anziano condannato per il corteggiamento ossessivo

Una conclusione condivisa anche dagli Ermellini che ravvisano la sussistenza della contravvenzione di cui all'art. 660 c.p. nell'insistente comportamento, prolungato nel tempo, di chi, come il ricorrente, "corteggia" insistentemente, in maniera non gradita, una persona (profferendo al suo indirizzo espressioni a contenuto esplicitamente sessuale) e seguendola in strada (si da costringerla a cambiare abitudini).

Tale condotta è rivelatrice di "petulanza", oltre che di "biasimevole motivo" (cfr., Cass., sent. n. 6905/1992). Mediante la riproduzione del contenuto delle dichiarazioni rese in sede di esame (dal tenore, invero, quanto meno poco chiaro), il ricorrente mira a conseguire in sede di legittimità una non consentita rivalutazione dei fatti.

Inutile per l'anziano criticare la sentenza impugnata per non avere concesso circostanze attenuanti generiche: i giudici a quo, infatti, hanno ritenuto non dovergliele concedere in considerazione di un precedente penale (per lesioni) e del comportamento processuale privo di ripensamento quanto alla illiceità delle azioni commesse.



Scarica pdf Cass., I pen., sent. 55713/2018

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