Avv. Marina Scaglione - La violenza fisica rappresenta la forma più evidente di aggressione, perché lascia segni visibili sul corpo della vittima.
Solo di recente l'attenzione è stata spostata anche sui risvolti psicologici delle prevaricazioni all'interno del nucleo familiare con specifica attenzione al minore e ai pregiudizi conseguenza dell'ambiente violento e malsano in cui ci si trova a vivere un momento tanto cruciale per lo sviluppo di un soggetto e della sua personalità. Oltre ai pregiudizi all'integrità fisica si generano inevitabilmente disagi morali dovuti anche alla perenne angoscia per possibili reiterazioni.
L'aspetto più critico degli abusi perpetrati tra le mura domestiche deriva dal fatto che sono proprio i congiunti, coloro dai quali normalmente ci si aspetta affetto, comprensione, partecipazione al proprio sviluppo personale e protezione, che diventano i "cattivi", persone da cui difendersi. È una situazione estremamente destabilizzante e quasi "contro-natura". La famiglia, da oasi ristoratrice in cui ciascuno dovrebbe trovare amore e sostegno, diventa deserto in cui echeggia un vuoto fatto di privazioni affettive e vessazioni.
- La violenza psicologica
- Tratti caratteristici e conseguenze dell'abuso
- Inquadramento normativo e giurisprudenziale
- Violenza assistita e affidamento della prole
La violenza psicologica
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Sono molti e di vario tipo gli atteggiamenti rientranti nella categoria della violenza psicologica.
Le profonde ferite della sfera emotiva possono degenerare nelle situazioni di maggiore violenza o di forte fragilità della vittima in veri e propri traumi di carattere anche permanente.
Gli effetti negativi descritti, hanno incidenza devastante nella psiche del minore. Un bambino, più di ogni altro componente della famiglia, paga le conseguenze della violenza familiare perché questa inserita nella delicata fase dell'infanzia, genera ripercussioni nel corretto sviluppo della personalità.
Tratti caratteristici e conseguenze dell'abuso
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Il CISMAI (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l'Abuso all'Infanzia) nelle linee guida "Requisiti minimi degli interventi nei casi di violenza assistita da maltrattamento sulle madri", ha definito la violenza assistita intrafamiliare come "l'esperire da parte della/del bambina/o e adolescente qualsiasi forma di maltrattamento compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale, economica e atti persecutori (c.d. stalking) su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative, adulte o minorenni. Di particolare gravità è la condizione degli orfani denominati speciali, vittime di violenza assistita da omicidio, omicidi plurimi, omicidio-suicidio. Il/la bambino/a o l'adolescente può farne esperienza direttamente (quando la violenza/omicidio avviene nel suo campo percettivo), indirettamente (quando il/la minorenne è o viene a conoscenza della violenza/omicidio), e/o percependone gli effetti acuti e cronici, fisici e psicologici. La violenza assistita include l'assistere a violenze di minorenni su altri minorenni e/o su altri membri della famiglia e ad abbandoni e maltrattamenti ai danni degli animali domestici e da allevamento".
I minori lesi da questa peculiare tipologia di violenza domestica presentano, anche a lungo termine, segni indicativi di un forte disagio psichico. Una caratteristica che il bambino tende a sviluppare è un «intorpidimento emotivo»[1], difficoltà nel relazionarsi e nel costruire rapporti sociali stabili, problemi di concentrazione, ansia. Solo negli ultimi anni è stata considerata, sia sul piano psicoterapeutico che giuridico, questa forma di abuso. Nelle situazioni violente, il minore veniva quasi "dimenticato" se non vittima diretta degli atti lesivi. Non si considerava quanto la psiche di un fanciullo fosse estremamente fragile e soprattutto quanto fosse in grado di assorbire, purtroppo, le conseguenze negative di un contesto violento.
I bambini, testimoni involontari di atti violenti, rischiano di sviluppare serie problematiche di natura psicofisica quali ansia, depressione, scarsa autostima, senso d'impotenza e di colpa , rabbia, paura e, in alcuni casi, comportamenti autolesionistici e disturbo post-traumatico.
Il più temibile esito della violenza assistita è la sua possibile riproducibilità. La casistica testimonia che, spesso, per chi cresce in un ambiente in cui si consumano quotidianamente abusi di vario genere, c'è una maggiore tendenza a sviluppare gli stessi atteggiamenti o a subirli senza opporsi. Escludendo ovviamente ogni automatismo in tal senso, non di rado, però, l'abusante è stato a sua volta vittima durante la sua infanzia.
Inquadramento normativo e giurisprudenziale
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Il D.l. n. 93 del 14 agosto, conv. in L. 15 ottobre 2013 n. 119 concernente disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere ha introdotto una nuova circostanza aggravante comune: "l'avere, nei delitti non colposi contro la vita e l'incolumità individuale, contro la libertà personale nonché nel delitto di cui all'articolo 572, commesso il fatto in presenza o in danno di un minore di anni diciotto ovvero in danno di persona in stato di gravidanza" (art. 61, comma 1, n. 11-quinquies)".
L'antecedente normativo della predetta novella si rinviene nella Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne nota come Convenzione di Istanbul.
Finalità della Convenzione di Istanbul era, appunto, l'attuazione della stessa attraverso adozione di iniziative normative da parte dei singoli stati membri volte ad adeguare l'ordinamento interno, a partire dall'introduzione della violenza assistita tra le circostanze aggravanti di reato così come previsto dall'art. 46 tra le quali alla lett. d) "il reato commesso su un bambino o in presenza di un bambino".
La Suprema Corte di Cassazione, Sez. I Penale, con sentenza n. 1232/2017 ha chiarito il significato dell'espressione "in presenza di un minore" di cui all'art. 61 n. 11- quinquies c.p..
I giudici di legittimità spiegando la portata della novellata disposizione normativa hanno evidenziato come la presenza del minore non vada intesa in senso strettamente letterale e che, invece, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante sia sufficiente la percezione e la consapevolezza delle condotte violente a danno di soggetti all'interno del nucleo familiare.
Quanto sancito dal legislatore ha, inoltre, avuto ripercussioni di natura processuale in ordine alla legittimazione del minore vittima di violenza assistita di costituirsi parte civile.
Sul punto, infatti, la Corte di Cassazione Penale con pronuncia n. 45403/2016 ha stabilito che "proprio in considerazione della ratio ispiratrice della disposizione e della sua funzione, che il minore che abbia assistito ad uno dei delitti indicati nella disposizione può essere considerato anch'egli persona offesa del reato, in quanto la configurabilità di detta circostanza aggravante determina una estensione dell'ambito della tutela penale, anche al minore che abbia assistito alla violenza, come tale pienamente legittimato a costituirsi parte civile, essendo anch'egli danneggiato dal reato, così come aggravato".
Di recente con riferimento al reato di maltrattamenti in famiglia di cui all'art. 572 c.p. gli Ermellini hanno affermato che il delitto possa configurarsi nelle condotte violente che coinvolgano in modo anche indiretto il minore che diviene, suo malgrado, spettatore delle azioni vessatorie con gravi ripercussioni sullo sviluppo psichico di un soggetto ancora in fase di formazione.
In particolare, la Suprema Corte Penale nella sentenza n. 18833/2018 ha precisato che "non è revocabile in dubbio che il delitto di maltrattamenti possa essere configurato anche nel caso in cui i comportamenti vessatori non siano rivolti direttamente in danno dei figli minori, ma li coinvolgano (solo) indirettamente quali involontari spettatori delle feroci liti e dei brutali scontri fra i genitori che si svolgano all'interno delle mura domestiche, cioè allorquando essi siano vittime di c.d. violenza assistita. La condotta di chi costringa minore, suo malgrado, a presenziare - quale mero testimone - alle manifestazioni di violenza, fisica o morale, è certamente suscettibile di realizzare un'offesa al bene tutelato dalla norma (la famiglia), potendo comportare gravi ripercussioni negative nei processi di crescita morale e sociale della prole interessata".
Ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 572 c.p. è necessario che venga data prova dell'abitualità della condotta idonea ad arrecare pregiudizio al minore in termini di sofferenza psico-fisica.
Violenza assistita e regime di affidamento della prole
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Ulteriore profilo in cui è emersa come finalità preminente l'interesse del minore risulta essere la scelta inerente alla tipologia di affido a seguito di separazione.
Come noto, l'affidamento esclusivo può essere concesso nel caso in cui ex art. 337 quater c.c. si riscontri "che l'affidamento all'altro sia contrario all'interesse del minore".Fondamentale e imprescindibile elemento di valutazione risulta il minore con le sue esigenze, nell'ottica di un processo formativo idoneo a garantire un equilibrato sviluppo della personalità dello stesso.
L'affidamento condiviso è sicuramente una delle opzioni possibili per una consona tutela del minore ma va esclusa qualsiasi forma di automatismo nell'applicazione dell'istituto in quanto tale regola, come sancito dall'art. 337 quater c.c., risulta derogabile.
Con la riforma introdotta dal D.lgs. n. 154/2013 si discorre, non a caso, di "responsabilità genitoriale" venendo meno il termine "potestà".
Tale aspetto risulta molto significativo alla luce della reale portata che con la succitata riforma il legislatore ha inteso attribuire al ruolo del genitore per tutto quanto concerne i precisi obblighi degli stessi indirizzati all'unico e superiore fine che è l'interesse del minore.
È merito della giurisprudenza aver fissato una serie di criteri che definiscono quei casi in presenza dei quali il Giudice sia tenuto a disporre l'affido esclusivo.
La violenza assistita rientra tra gli elementi idonei ad escludere il regime di affidamento condiviso. Nel caso si ravvisino episodi di violenza assistita, infatti, ed un'idonea capacità genitoriale del genitore vittima di maltrattamenti l'affido condiviso del figlio minore può essere escluso in quanto contrario al suo benessere.
Tale principio ha trovato conferma nella giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione Civile la quale con sentenza n. 18559/16 ha precisato che la bigenitorialità "va intesa in funzione del soddisfacimento delle sue oggettive, fondamentali e imprescindibili esigenze di cura, mantenimento, educazione, istruzione, assistenza morale e di sana ed equilibrata crescita psicologica, morale e materiale. Pertanto, in caso di grave conflittualità tra i genitori, certificata dalla commissione dei reati di maltrattamenti commessi da uno a danno dell'altro, cui ha assistito il figlio, destinati a riflettersi su sentimenti ed equilibri affettivi, personali e familiari, l'affidamento condiviso può non corrispondere all'interesse del minore".
La violenza assistita, dunque, un fenomeno per molto tempo sommerso e sottovalutato, è una forma di maltrattamento tra le più subdole e traumatiche per un bambino il quale vede infranto il suo diritto ad un contesto familiare che gli trasmetta equilibrio e sicurezza ritrovandosi, invece, a vivere quotidianamente un clima di violenza e sopraffazione che finisce con l'incidere sulla sua crescita relazionale ed affettiva.
[1] Cfr. A. F. LIEBERMAN e P. VAN HORN, Bambini e violenza in famiglia, Bologna, 2007, p.25
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