All'opponente è precluso citare direttamente il terzo per la prima udienza, dovendo invece essere autorizzato previamente dal giudice
Avv. Iacopo Brotini - Come noto, in seno al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo (art. 645 c.p.c.) si verifica una formale inversione della posizione processuale delle parti; l'opponente infatti, sebbene onerato di introdurre il procedimento mediante atto di citazione (art. 645 comma I c.p.c.), assume in realtà la qualifica di convenuto in senso sostanziale, rivestendo - di contro - la parte opposta, il ruolo di attore (nonostante la sua partecipazione al giudizio mediante comparsa di costituzione).
Una delle conseguenze di natura processuale più rilevanti e che direttamente derivano da suddetta inversione dei ruoli è di certo il contenuto che l'atto di opposizione dovrà assumere: formalmente una citazione ma sostanzialmente una comparsa di costituzione e risposta.
Proprio la peculiare natura dell'atto con cui l'opponente introduce il giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo crea incertezze in merito ad un aspetto assai rilevante, ovvero quello concernente la chiamata in causa del terzo ex artt. 106 e 269 c.p.c.
Come deve procedere l'opponente qualora intenda chiamare in causa un terzo per essere da questi garantito e tenuto indenne?
Qualora invece sia l'attore che intenda evocare in giudizio un terzo (a seguito naturalmente delle difese svolte dal convenuto nella propria comparsa), egli dovrà - sempre a pena di decadenza - chiedere alla prima udienza apposita autorizzazione al giudice. Se suddetta autorizzazione viene concessa, verrà fissata una nuova udienza allo specifico scopo di consentire la citazione del terzo.
Dunque, mentre il convenuto non necessita di autorizzazione alcuna (dovendosi limitare a dichiarare la propria volontà ed a chiedere il differimento dell'udienza), la richiesta avanzata dall'attore è invece oggetto di un vaglio da parte del giudice. La ratio di tale differente disciplina è semplice: è l'attore che introduce la domanda e che individua la sua controparte, con la conseguenza che l'eventuale ampliamento - a sua richiesta - dei soggetti partecipanti al giudizio non potrà che essere filtrato ed autorizzato dall'organo giudicante.
Ciò detto, occorre domandarci come si atteggia, dal punto di vista processuale e pratico, la chiamata in causa del terzo avanzata dall'opponente in seno al giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo.
E ciò proprio in considerazione del fatto che nell'ambito di suddetto giudizio vi è un'inversione della posizione processuale delle parti, rivestendo l'attore - opponente il ruolo sostanziale di convenuto.
Una parte minoritaria (tra le altre, Trib. Milano, 28/11/2002) conclude nel senso che l'opponente, anche per esigenze di economia e speditezza processuale, ben potrebbe procedere alla contestuale citazione per la medesima prima udienza sia dell'opposto che del terzo; in fin dei conti, sostengono questi autori, tale udienza viene fissata direttamente e ad esclusivo impulso di colui che si oppone, ragione per la quale nulla impedirebbe di estendere subito, senza slittamenti, il contraddittorio anche nei confronti di un soggetto terzo dal quale si vuole essere tenuti indenni. Questa conclusione sarebbe altresì avallata, secondo questo orientamento, proprio dal disposto di cui all'art. 269 comma II c.p.c. Rivestendo l'opponente la qualifica solo formale di attore, egli ricadrebbe de plano nell'ambito di applicazione di suddetta norma la quale, come detto, non prevede alcuna previa autorizzazione del giudice nei confronti del convenuto che intenda evocare in giudizio un terzo.
Infine, la soluzione appena accennata si porrebbe in linea con le esigenze stesse del procedimento monitorio e del giudizio avviatosi a seguito della sua opposizione: capitando non di rado di trovarsi di fronte ad opposizioni anche in parte infondate e/o temerarie, il differimento della prima udienza al solo scopo di poter citare il terzo non avrebbe altro effetto se non quello di ritardare ulteriormente la definizione del giudizio in spregio al principio di ragionevole durata del processo (di tale avviso è, ad esempio, Trib. Torino, 09/05/2012).
Evidenziando gli aspetti formali del giudizio ex art. 645 c.p.c., disposizione che espressamente rinvia alle norme del procedimento ordinario davanti al giudice adito, non si può che concludere nel senso che l'opponente, sebbene sostanzialmente convenuto, rimane formalmente e processualmente attore; tanto che il procedimento viene avviato mediante notifica di un atto di citazione.
Inoltre, si sostiene, il giudizio a cognizione piena che viene introdotto ai sensi dell'art. 645 c.p.c. prende comunque avvio da un pregresso procedimento (monitorio) il quale aveva già chiaramente individuato le parti reciprocamente contrapposte. Ne consegue che l'allargamento del perimetro processuale nei confronti di un terzo chiamato in garanzia da colui che si oppone non può che passare attraverso una specifica autorizzazione da parte del giudice.
A ben vedere, trova dunque applicazione nella fattispecie in commento il meccanismo sotteso al disposto di cui all'art. 269 comma III c.p.c., sulla chiamata in causa del terzo da parte dell'attore.
L'opponente sarà dunque onerato di citare in giudizio la sola parte opposta e, nel corpo del medesimo atto, chiedere espressamente di essere autorizzato a chiamare in causa il terzo, esplicitando dettagliatamente le motivazioni sia in fatto che in diritto poste alla base di suddetta evocazione in giudizio.
Qualora ritenuta fondata, sarà il giudice a disporre il differimento dell'udienza di modo che l'opponente possa procedere all'integrazione del contraddittorio nel rispetto dei termini di cui all'art. 163 - bis c.p.c. In caso contrario (ovvero diretta citazione del terzo senza previa autorizzazione giudiziale), incorrerà verosimilmente in una declaratoria di inammissibilità della chiamata.
Una delle conseguenze di natura processuale più rilevanti e che direttamente derivano da suddetta inversione dei ruoli è di certo il contenuto che l'atto di opposizione dovrà assumere: formalmente una citazione ma sostanzialmente una comparsa di costituzione e risposta.
Proprio la peculiare natura dell'atto con cui l'opponente introduce il giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo crea incertezze in merito ad un aspetto assai rilevante, ovvero quello concernente la chiamata in causa del terzo ex artt. 106 e 269 c.p.c.
Come deve procedere l'opponente qualora intenda chiamare in causa un terzo per essere da questi garantito e tenuto indenne?
- Chiamata in causa del terzo ex art. 269 c.p.c. Applicabilità al giudizio di opposizione a d.i.
- La posizione assunta dalla giurisprudenza minoritaria
- La soluzione suggerita dalle più recenti pronunce di legittimità e di merito
- Conclusioni
Chiamata in causa del terzo ex art. 269 c.p.c. Applicabilità al giudizio di opposizione a d.i.
[Torna su]
Come agilmente si ricava dalla lettura dei commi II e III dell'art. 269 c.p.c., dettati in materia di giudizio ordinario di cognizione, ove il convenuto voglia chiamare in causa un terzo dovrà, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella propria comparsa e contestualmente domandare al giudice istruttore lo spostamento della prima udienza (ovvero quella già previamente individuata dall'attore) al fine di consentire la citazione del terzo nel rispetto dei termini di cui all'art. 163 - bis c.p.c.Qualora invece sia l'attore che intenda evocare in giudizio un terzo (a seguito naturalmente delle difese svolte dal convenuto nella propria comparsa), egli dovrà - sempre a pena di decadenza - chiedere alla prima udienza apposita autorizzazione al giudice. Se suddetta autorizzazione viene concessa, verrà fissata una nuova udienza allo specifico scopo di consentire la citazione del terzo.
Dunque, mentre il convenuto non necessita di autorizzazione alcuna (dovendosi limitare a dichiarare la propria volontà ed a chiedere il differimento dell'udienza), la richiesta avanzata dall'attore è invece oggetto di un vaglio da parte del giudice. La ratio di tale differente disciplina è semplice: è l'attore che introduce la domanda e che individua la sua controparte, con la conseguenza che l'eventuale ampliamento - a sua richiesta - dei soggetti partecipanti al giudizio non potrà che essere filtrato ed autorizzato dall'organo giudicante.
Ciò detto, occorre domandarci come si atteggia, dal punto di vista processuale e pratico, la chiamata in causa del terzo avanzata dall'opponente in seno al giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo.
E ciò proprio in considerazione del fatto che nell'ambito di suddetto giudizio vi è un'inversione della posizione processuale delle parti, rivestendo l'attore - opponente il ruolo sostanziale di convenuto.
La posizione assunta dalla giurisprudenza minoritaria
[Torna su]
Sul punto dottrina e giurisprudenza hanno manifestato nel tempo orientamenti contrastanti.Una parte minoritaria (tra le altre, Trib. Milano, 28/11/2002) conclude nel senso che l'opponente, anche per esigenze di economia e speditezza processuale, ben potrebbe procedere alla contestuale citazione per la medesima prima udienza sia dell'opposto che del terzo; in fin dei conti, sostengono questi autori, tale udienza viene fissata direttamente e ad esclusivo impulso di colui che si oppone, ragione per la quale nulla impedirebbe di estendere subito, senza slittamenti, il contraddittorio anche nei confronti di un soggetto terzo dal quale si vuole essere tenuti indenni. Questa conclusione sarebbe altresì avallata, secondo questo orientamento, proprio dal disposto di cui all'art. 269 comma II c.p.c. Rivestendo l'opponente la qualifica solo formale di attore, egli ricadrebbe de plano nell'ambito di applicazione di suddetta norma la quale, come detto, non prevede alcuna previa autorizzazione del giudice nei confronti del convenuto che intenda evocare in giudizio un terzo.
Infine, la soluzione appena accennata si porrebbe in linea con le esigenze stesse del procedimento monitorio e del giudizio avviatosi a seguito della sua opposizione: capitando non di rado di trovarsi di fronte ad opposizioni anche in parte infondate e/o temerarie, il differimento della prima udienza al solo scopo di poter citare il terzo non avrebbe altro effetto se non quello di ritardare ulteriormente la definizione del giudizio in spregio al principio di ragionevole durata del processo (di tale avviso è, ad esempio, Trib. Torino, 09/05/2012).
La soluzione suggerita dalle più recenti pronunce di legittimità e di merito
[Torna su]
Tuttavia, la posizione maggioritaria cui è pervenuta la giurisprudenza sia di legittimità che di merito è di tutt'altro avviso (si vedano, tra le altre, Cass., Civ. Sez. I, 18/05/2015, n. 10085, ma anche Trib. Milano, Sez., XII, 25/02/2015 nonché la recentissima Trib. Roma, Sez., II, sent. 02/10/2018, n. 18584).Evidenziando gli aspetti formali del giudizio ex art. 645 c.p.c., disposizione che espressamente rinvia alle norme del procedimento ordinario davanti al giudice adito, non si può che concludere nel senso che l'opponente, sebbene sostanzialmente convenuto, rimane formalmente e processualmente attore; tanto che il procedimento viene avviato mediante notifica di un atto di citazione.
Inoltre, si sostiene, il giudizio a cognizione piena che viene introdotto ai sensi dell'art. 645 c.p.c. prende comunque avvio da un pregresso procedimento (monitorio) il quale aveva già chiaramente individuato le parti reciprocamente contrapposte. Ne consegue che l'allargamento del perimetro processuale nei confronti di un terzo chiamato in garanzia da colui che si oppone non può che passare attraverso una specifica autorizzazione da parte del giudice.
A ben vedere, trova dunque applicazione nella fattispecie in commento il meccanismo sotteso al disposto di cui all'art. 269 comma III c.p.c., sulla chiamata in causa del terzo da parte dell'attore.
Conclusioni
[Torna su]
In conclusione, in forza di quanto emerge dall'opinione assolutamente maggioritaria espressa dalla giurisprudenza di legittimità e di merito, è precluso all'opponente l'immediata citazione del terzo congiuntamente all'opposto; pena l'inammissibilità della richiesta.L'opponente sarà dunque onerato di citare in giudizio la sola parte opposta e, nel corpo del medesimo atto, chiedere espressamente di essere autorizzato a chiamare in causa il terzo, esplicitando dettagliatamente le motivazioni sia in fatto che in diritto poste alla base di suddetta evocazione in giudizio.
Qualora ritenuta fondata, sarà il giudice a disporre il differimento dell'udienza di modo che l'opponente possa procedere all'integrazione del contraddittorio nel rispetto dei termini di cui all'art. 163 - bis c.p.c. In caso contrario (ovvero diretta citazione del terzo senza previa autorizzazione giudiziale), incorrerà verosimilmente in una declaratoria di inammissibilità della chiamata.
Altri articoli che potrebbero interessarti:
In evidenza oggi: