Il principio dell'automatica attribuzione del cognome paterno è in crisi. E' quanto hanno affermato i giudici della Suprema Corte di Cassazione (Sent. n. 12641/2006) in relazione al cognome del figlio naturale, osservando che la ratio dell'art. 262 c.c. è quella "di garantire l'interesse del figlio a conservare o a non cambiare il cognome con cui è ormai conosciuto nell'ambito delle proprie relazioni sociali". "Pertanto il giudice chiamato a valutare l'interesse del minore preventivamnete riconosciuto dalla madre a vedersi attribuito il patronimico a seguito del successivo riconoscimento paterno, dovrà impedire il mutamento di cognome non solo nei casi in cui la cattiva reputazione del genitore possa comportare un pregiudizio al minore ma anche nel caso in cui il matronimico sia assurto ad automatico segno distintivo della di lui identità personale". "Nell'operare la valutazione richiestagli dall'enunciato normativo", proseguono i giudici della Cassazione "il giudice deve prescindere da qualsiasi meccanismo di automatica attribuzione del cognome, ma deve avere riguardo all'identità personale posseduta dal minore nell'ambiente in cui è cresciuto fino al momento del riconoscimento da parte del padre. A tutela dell'eguaglianza dei genitori, il giudice non dovrà autorizzare l'assunzione del patronimico (non soltanto ove ne possa derivare danno per il minore, ma anche) allorquando il cognome materno si sia radicato nel contesto sociale in cui il minore si trova a vivere, giacché precludergli il diritto di mantenerlo si risolverebbe in un'ingiusta privazione di un elemento della sua personalità, tradizionalmente definito come il diritto a essere se stessi. Il provvedimento deve, quindi, tutelare l'interesse del minore ? non necessariamente coincidente con quello dell'uno o dell'altro genitore ? alla propria identità".
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