di Lucia Izzo - Commette il reato di abbandono di animali di cui all'art. 727 c.p. l'ex marito che, pur sapendo che la moglie è assente da tempo, omette di occuparsi dei tre gatti della donna. Anche se gli animali sono stati affidati ai figli, all'epoca minorenni, deve ritenersi che la posizione di garanzia sia stata assunta direttamente da lui.
È la conclusione a cui è giunta la Corte di Cassazione, terza sezione penale, nella sentenza n. 4/2019 (qui sotto allegata).
- Il caso
- Rischia la condanna per abbandono di animali l'ex marito che trascura i gatti della moglie
- Abbandono di animali: quando le gravi sofferenze si considerano in re ipsa?
Il caso
[Torna su]
I giudici sono chiamati a valutare una vicenda peculiare che origina dal momento in cui una donna va in ferie a ridosso del ferragosto, affidando la cura dei suoi tre gatti a una dipendente dell'esercizio commerciale del fratello.
A sua volta, anche la dipendente va in vacanza e chiama la padrona degli animali ottenendo da lei l'assenso a consegnare le chiavi del suo appartamento all'ex marito e ai figli minori, all'epoca presso il padre, affinché questi si occupassero degli animali.
Durante questo periodo gli animali restano privi di cure, anzi, viene anche segnalato un furto nell'appartamento a seguito del quale l'ex marito si limita a far rientrare gli animali nell'abitazione, ma senza dar loro l'assistenza necessaria. Tempo dopo, a inizio settembre, il fratello dell'imputata contatta la guardia zoofila rappresentando l'abbandono dei gatti, detenuti in condizioni incompatibili con la loro natura.
Dalla vicenda ne scaturisce un contenzioso che si conclude con la condanna della coppia per il reato di cui all'art. 727 c.p.; in Cassazione, trova accoglimento una doglianza di natura processuale che consente alla donna di riottenere un nuovo giudizio d'appello, mentre invece nei confronti dell'ex marito viene confermata la condanna.
Rischia la condanna per abbandono di animali l'ex marito che trascura i gatti della moglie
[Torna su]
Tra l'altro, l'uomo sostiene di non aver avuto alcun obbligo di cura degli animali essendogli stata attribuita una posizione di garanzia.
In realtà, secondo gli Ermellini, risulta dimostrato che la proprietaria dei gatti, su cui gravava la posizione di garanzia rispetto alla salvaguardia della salute degli animali, ebbe ad affidarne la custodia a una terza persona che, con il previo consenso della donna, trasferì la custodia ai figli di questa a cui vennero consegnate le chiavi dell'appartamento alla presenza del padre, attuale imputato.
Tuttavia, sottolineano i giudici, il trasferimento della custodia deve ritenersi avvenuto direttamente in capo all'uomo e non in capo ai figli, attesa la loro incapacità in quanto all'epoca dei fatti erano infraquattordicenni. Appare evidente, quindi, che l'imputato, per il tramite dei figli che all'epoca convivevano con lui, aveva assunto direttamente la posizione di garanzia e l'affidamento in custodia degli animali.
Pertanto, la Cassazione sostiene che avrebbe dovuto occuparsi lui della cura dei gatti, mentre nella pratica se ne era disinteressato: i giudice di merito hanno evidenziato come l'uomo, dopo l'effrazione della porta dell'appartamento della ex, si era limitato a rimettere dentro gli animali, chiudendo la porta con un lucchetto, senza sincerarsi delle loro condizioni e, in particolare, senza verificare che disponessero di cibo e acqua.
E ciò pur sapendo che la moglie era ormai assente da tempo e che la dipendente aveva smesso di occuparsene da quando aveva consegnato le chiavi ai suoi figli in sua presenza. Dunque, secondo il Collegio, corrottamente i giudici a quo hanno ritenuto colposa la condotta dell'uomo, essendo concretamente esigibile che lui si attivasse per verificare le condizioni in cui si trovavano gli animali, eventualmente contattando la ex moglie oppure una struttura pubblica una volta contestato che i gatti erano privi di cura.
Abbandono di animali: quando le gravi sofferenze si considerano in re ipsa?
[Torna su]
In relazione all'elemento oggettivo della fattispecie ex art. 727 c.p., anch'esso contestato dall'uomo che ritiene come nessun danno fosse occorso agli animali, i giudici rammentano che nel reato di detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura, le gravi sofferenze dell'animale devono essere desunte dalle modalità della custodia che devono essere inconciliabili con la condizione propria dell'animale in situazioni di benessere
Nel caso di specie, il luogo in cui gli animali erano detenuti, come descritto dagli operatori zoofili all'atto del sopralluogo, era fonte di sofferenze per i gatti che si erano ritrovati in un ambiente insano, circondati dai loro escrementi in stato di putrefazione che provocavano nauseabondi odori e, per giunta, senza acqua né cibo da oltre due settimane. Pertanto, la produzione di gravi sofferenze deve considerarsi in re ipsa. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Scarica pdf Cass., III pen., sent. n. 4/2019• Foto: 123rf.com