di Lucia Izzo - La presunzione legale relativa alla prima parte del d.P.R. n. 600 dei 1973, art. 32, comma 1, n. 2, trova applicazione anche a soggetti diversi dagli imprenditori e dai lavoratori autonomi in virtù della portata generale del disposto normativo.
In pratica, è consentito al Fisco nei confronti di tutti i cittadini, anche coloro che percepiscono redditi da lavoro dipendente, contestare ricavi in nero sulla base di indagini sui conti correnti a seguito della rilevazione di movimentazioni bancarie sospette e spetta al contribuente stesso l'onere di dimostrare la provenienza delle somme.
Lo ha precisato la Corte di Cassazione, sezione tributaria, nell'ordinanza n. 104/2019 (qui sotto allegata) respingendo il ricorso di una contribuente che aveva ricevuto un accertamento sulla base di verifiche fatte sui suoi conti bancari.
Il caso
La donna aveva impugnato l'avviso di accertamento relativo all'anno 2006 con il quale le veniva contestato di aver conseguito redditi diversi non dichiarati risultanti dalle movimentazioni bancarie ex artt. 32 del d.P.R. n. 600/1973 e 51 del d.P.R n. 633/1972.
La CTP respingeva tale ricorso ritenendo che la possibilità di contestare resistenza di redditi diversi in forza delle accertate movimentazioni bancarie fosse di portata generale e quindi ammissibile anche per la contribuente in questione, avente redditi da lavoro dipendente e non da lavoro autonomo o redditi d'impresa.
La decisione veniva confermata anche dalla CTR, secondo cui, in tali casi, spetta al contribuente l'onere di provare la provenienza del reddito e quali siano gli elementi che lo caratterizzano, ossia se già tassato o non soggetto a tassazione.
La donna ricorre dunque in Cassazione ritenendo illegittimo il principio secondo il quale l'Ufficio non è tenuto a indicare e motivare la scelta di inserire l'operazione finanziaria contestata mediante indagini finanziarie all'interno di una delle categorie reddituali previste e disciplinate dal T.U.I.R., specie ove la parte non sia titolare di reddito di lavoro autonomo né di reddito di impresa.
Conti correnti privati: controlli in caso di movimentazioni sospette
In particolare, spiega la Corte, l'art. 32 del d.P.R. n. 600/1973 non sarebbe norma che di per sé legittima l'accertamento a carico di qualunque soggetto che abbia intestato un conto corrente, ma è una norma che, nell'ambito di un accertamento che abbia giustificazione in diverse norme, consente di accertare il reddito (o i ricavi) del contribuente, con agevolazione probatoria (inversione dell'onere della prova) in favore del Fisco.
Secondo la Cassazione, dunque, il contribuente ha l'onere di superare la presunzione posta dagli artt. 32 del d.P.R. n. 600/1973 e 51 del d.P.R. n. 633/1972, dimostrando in modo analitico l'estraneità di ciascuna delle operazioni bancarie a fatti imponibili (cfr. Cass. n. 10480/2018). Dimostrazione che, nel caso di specie, non risulta avvenuta.
Inoltre, per la Corte non assume alcuna rilevanza la qualifica soggettiva di lavoratore dipendente, autonomo o imprenditore, dato che la presunzione legale relativa alla prima parte del d.P.R. n. 600 dei 1973, art. 32, comma 1, n. 2 trova applicazione anche a soggetti diversi dagli imprenditori e dai lavoratori autonomi in virtù della portata generale del disposto normative (cfr. Cass. n. 15050/2014).
Si tratta, nel dettaglio, della presunzione consistente nel fatto che i "dati" e gli "elementi" acquisiti attraverso le indagini bancarie possono essere posti a base degli accertamenti e rettifiche, di cui agli artt. 38-41 del d.P.R. n. 600/1973, e agli artt. 54 e 55 del d.P.R. 633/1972 per l'IVA, se il contribuente non dimostra di averne tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta, o che essi non hanno rilevanza allo stesso fine.
Scarica pdf Cass., VI civ., ord. n. 104/2019