di Annamaria Villafrate - Il decreto sul reddito di cittadinanza, che secondo quanto annunciato dal Ministro del Lavoro Luigi Di Maio approderà in Consiglio dei Ministri giovedì 17, conterrà diverse misure antifurbetti, prima tra tutte quella tesa a scongiurare le "finte" separazioni, al solo scopo di ottenere il beneficio. L'opposizione, ancora scettica sulla misura, ritiene che il reddito di cittadinanza, alla fine, avvantaggerà solo i "fannulloni". Il premier Conte però difende Di Maio e il suo reddito di cittadinanza, che considera uno dei punti migliori del programma di questo Governo e " una misura di equità sociale". In attesa dei nuovi sviluppi, cerchiamo di capire qual è la disposizione che ostacolerebbe le finte separazioni, chieste solo per accaparrarsi il reddito di cittadinanza e se, così come pensata, è destinata a funzionare o a fallire.
Reddito di cittadinanza e separazioni: cosa prevede il decreto
La bozza del decreto sul reddito di cittadinanza contiene delle disposizioni, già soprannominate "antifurbetti", per evitare che:
- al fine di percepire il reddito di cittadinanza i lavoratori dipendenti diano le dimissioni, per poi continuare a lavorare in nero;
- i figli di età inferiore ai 26 anni a carico dei genitori ai fini Irpef, non coniugati e senza figli, vadano a vivere da soli, per risultare nucleo familiare distinto e come tale beneficare della misura;
- le coppie si separino "per finta", per ottenere l'aiuto dallo Strato, pur continuando a vivere sotto lo stesso tetto.
Su questo punto la bozza del decreto è chiara. Essa infatti prevede che, ai fini della concessione del reddito di cittadinanza "i coniugi permangono nel medesimo nucleo familiare anche a seguito di separazione e divorzio, qualora continuino a risiedere nella stessa abitazione".
Insomma, chi si separa o divorzia, ma continua a vivere sotto lo stesso tetto, non ha diritto a percepire il reddito di cittadinanza, in quanto parte del medesimo nucleo familiare.
Il tutto nel rispetto di quanto sancito dall'art. 3 del DPR n. 159/2013, contenente il regolamento per la determinazione Isee, il quale considera i coniugi aventi diversa residenza anagrafica, nuclei familiari distinti se:
- è stata pronunciata separazione giudiziale;
- è stata omologata la separazione consensuale;
- si è verificato uno dei casi previsti dall'art. 3 della legge sul divorzio n. 898/1970 ed è stata proposta domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Basta la norma antifurbetti a impedire le false separazioni?
Analizzata la norma, a ben vedere, risulta che essa non è sufficiente a impedire che le coppie si separino per "finta" solo per beneficiare degli aiuti statali. A essere "manipolabile" è il termine "residenza", che come sappiamo è un termine puramente anagrafico. Detto in parole povere, se uno dei due coniugi giuridicamente fissa la propria residenza in un altro luogo, anche se di fatto non lo occupa, risulta "formalmente" nucleo separato e quindi possibile beneficiario della misura, solo per il fatto di avere una residenza diversa.
A ben vedere, anche utilizzando la nozione di "dimora abituale" contenuta nell'art. 45 del codice civile, il problema non verrebbe comunque risolto, visto che sarebbe sufficiente dividersi tra la casa "coniugale" e quella da "libero" per risultare a posto per la legge, a meno che non vengano disposti, come sarebbe opportuno, controlli preventivi e successivi alla concessione del reddito di cittadinanza, per evitare che questa misura, prevista per i più bisognosi, finisca nelle tasche sbagliate.
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