- Non quietanzare la busta paga
- La prescrizione del diritto al versamento delle retribuzioni pregresse
- La messa in mora del datore di lavoro
- La conciliazione
- Il ricorso per decreto ingiuntivo
- Le dimissioni per giusta causa
Non quietanzare la busta paga
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Innanzitutto è opportuno osservare che la prima fondamentale precauzione che deve curare il lavoratore dinanzi alla mancata corresponsione della retribuzione risulta essere quella di non firmare "per quietanza" la busta paga se, allo stesso tempo, non gli viene appunto accreditato lo stipendio.
A tal proposito, giova sottolineare come sia di preminente importanza prestare molta attenzione alla busta paga. In calce a questo documento infatti, di solito, è inserito lo spazio deputato alla sottoscrizione del dipendente. Sotto questo aspetto si rileva infatti che la firma può essere richiesta per due differenti scopi:
- per confermare il ricevimento della busta stessa ovvero per ricevuta e presa visione;
- per attestare l'avvenuta corresponsione dell'ammontare ovvero per quietanza.
Dunque, se il datore di lavoro non ha provveduto al versamento dello stipendio, il lavoratore potrà firmare e confermare, senza alcun rischio, il ricevimento della busta paga, tuttavia dovrà astenersi dal firmare anche la quietanza. Altrimenti egli riconoscerebbe di aver ottenuto la corresponsione del dovuto e, qualora ciò non fosse vero, si troverebbe costretto ad azionare una causa ordinaria per accertare il proprio credito, con conseguente allungamento dei tempi per ottenere la soddisfazione dei propri interessi a fronte di una tutela più immediata che riceverebbe, invece, con l'avvio di una procedura di ingiunzione, attivabile appunto però, se le buste paga non sono state quietanzate.
Per quanto concerne invece l'ipotesi in cui la busta paga presenti delle incongruità retributive rispetto al lavoro svolto, il lavoratore potrà promuovere una causa apposita volta ad ottenere le differenze stipendiali e ciò indipendentemente dall'aver o meno quietanzato la busta.
La prescrizione del diritto al versamento delle retribuzioni pregresse
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Il diritto a ottenere gli arretrati dello stipendio si prescrive in cinque anni. E' utile aggiungere anche che onde escludere che il dipendente possa rinunciare alla causa per il timore di perdere il posto, il termine di prescrizione inizia a decorrere dalla cessazione del rapporto di lavoro.
La messa in mora del datore di lavoro
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Altro fondamentale passaggio per tutelarsi al meglio è costituire in mora il datore di lavoro in ordine alle omissioni retributive. Per fare ciò il lavoratore non necessita dell'assistenza obbligatoria di un legale, anche se preferibile, potendo infatti procedervi direttamente tramite l'invio di un sollecito scritto tramite raccomanda con avviso di ricevimento o a mezzo pec.
La conciliazione
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Analizzando le possibilità di conciliazione offerte dalla Legge, possiamo osservare come il lavoratore possa tutelarsi dinanzi agli inadempimenti del datore di lavoro rivolgendosi direttamente alla Direzione Territoriale del Lavoro (DTL)presentando appunto una richiesta (gratuita) con la quale venga richiesto di esperire un tentativo di conciliazione facoltativo presso la relativa commissione. Dopodiché quest'ultima trasmetterà alle parti l'indicazione della data di udienza e in quella sede le stesse, assistite da un rappresentante ciascuno, verranno invitate a trovare un'intesa. Se datore e lavoratore compongono bonariamente la vertenza il verbale sottoscritto dagli stessi costituisce titolo esecutivo nei confronti del datore di lavoro.
Nel caso in cui, invece, il lavoratore intenda procedere in modo più deciso verso il datore di lavoro inadempiente, può rivolgersi alla Direzione Territoriale del Lavoro e avanzare istanza di conciliazione monocratica. Tale procedura, anch'essa facoltativa come la precedente, nel caso in cui l'intesa non si trovi, al contrario dell'altra, produrrà l'effetto di dare corso a una verifica da parte degli Ispettori del lavoro presso la sede del datore al fine di acclarare che detto soggetto non abbia violato la normativa lavoristica e gli obblighi inerenti i versamenti contributivi, tutto ciò comportando qualora fossero riscontrate irregolarità, l'irrogazione di sanzioni alquanto severe nei confronti del medesimo. Operare quest'ultima scelta impone però una riflessione attenta: se da un lato essa può rivelarsi sicuramente più incisiva nei confronti del datore inadempiente, dall'altro può comportare un pregiudizio per la ragioni del lavoratore, in quanto se il datore viene assoggettato al pagamento di sanzioni in favore dell'erario, potrebbe poi non avere più la disponibilità finanziaria per saldare la morosità dovuta al lavoratore.
Il ricorso per decreto ingiuntivo
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Tale procedura consente, nei casi in cui il datore di lavoro rimanga inadempiente dopo i tentativi sopra menzionati, di ricevere la tutela dei propri diritti senza attendere i tempi assai più dilatati di una causa ordinaria. Il procedimento monitorio su indicato è infatti azionabile nelle ipotesi in cui il lavoratore abbia una prova scritta del proprio credito e permette di ottenere un ordine di pagamento nei confronti del debitore (datore di lavoro) il quale avrà quaranta giorni di tempo dalla notifica del decreto ingiuntivo per adempiere, non adempiere (subendo quindi l'esecuzione forzata) oppure opporsi se ne ricorrono i presupposti, dando in quest'ultimo caso così corso a una causa ordinaria, salva la possibilità per il lavoratore, se vi sono i requisiti, di chiedere l'esecuzione provvisoria del decreto e avviare l'esazione forzata.
Qualora, invece, il lavoratore non disponga di prove scritte del credito può in ogni caso avviare un giudizio ordinario. Si tratta delle ipotesi, ad esempio, in cui lo stesso abbia perso il contratto di lavoro oppure la lettera di assunzione: in tali circostanze, infatti, lo stesso potrà comunque intentare una causa civile ponendo a sostegno delle proprie richieste le buste paga, il CUD o qualsiasi altra documentazione che dimostri la sussistenza del rapporto di lavoro.
Le dimissioni per giusta causa
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Si tratta di un rimedio offerto al lavoratore in ordine ai casi in cui il datore di lavoro tiene dei comportamenti talmente gravi da minare alle basi il rapporto professionale e pertanto il prestatore di lavoro può dimettersi con effetto immediato.
In attuazione dell'art. 26 del D.Lgs. n. 151/2015 il Ministero del Lavoro ha emanato con decreto le regole pratiche per rendere effettiva la procedura di recesso dal rapporto di lavoro.
Il lavoratore è tenuto ad utilizzare per la comunicazione di recesso un modulo appositamente messo a disposizione sul sito internet del Ministero del lavoro.
Il modulo può essere compilato dal lavoratore:
- in proprio, dopo aver richiesto e ottenuto un apposito PIN dall'I.N.P.S.;
- oppure attraverso un patronato, un'organizzazione sindacale, un ente bilaterale o una commissione di certificazione.
Detto modello (il quale deve evidenziare la volontà del lavoratore di recedere o di revocare un precedente recesso) una volta firmato digitalmente (in proprio dal lavoratore o tramite il soggetto abilitato) riceve dal sistema informatico ministeriale una certificazione che attesta provenienza, data e ora della sottoscrizione digitale.
Il lavoratore può dimettersi così in tronco e senza preavviso per gravi inadempimenti da parte del datore di lavoro. Giova evidenziare che, come illustrato dalla giurisprudenza, rientrano appunto in questa casistica:
- mancata corresponsione della retribuzione e/o dei versamenti contributivi per tre mesi;
- mobbing (comportamenti vessatori e persecutori a danno del singolo lavoratore o lavoratrice);
- molestie sessuali;
- comportamento ingiurioso e offensivo;
- pretesa del datore di lavoro che il dipendente esegua prestazioni illecite;
- dequalificazione professionale;
- trasferimento della sede di lavoro senza che vi siano ragioni organizzative, tecniche o produttive;
- modifica unilaterale delle condizioni del rapporto di lavoro;
- variazioni delle condizioni di lavoro in seguito alla cessione aziendale ad altra proprietà.
Avv. Giuliana Degl'Innocenti
e-mail: giulianadegl_innocenti@hotmail.com
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