Compiti istituzionali
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Prima di addentrarsi in una materia molto delicata occorre precisare che l'art. 41 ultimo comma dell'Ordinamento Penitenziario (L.354/75) prescrive che "Gli agenti in servizio all'interno degli istituti non possono portare armi se non nei casi eccezionali in cui ciò venga ordinato dal Direttore". Unico personale armato è quello che svolge servizio di sentinella sul camminamento di ronda (ormai ampiamente sostituito da impianti di allarme e videosorveglianza con telecamere a circuito chiuso), di pattugliamento esterno al carcere a piedi o su auto di servizio, di sorveglianza (ove richiesto) su detenuti che lavorano all'aperto. In questi casi gli addetti svolgono servizio di "sentinella" e la "consegna" è evitare che avvengano evasioni, che ci siano attacchi al carcere, che sia turbato l'ordine dell'istituto.L'evasione
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L'evasione, cioè sottrarsi alla custodia in cui lo Stato detiene una persona legalmente, è punita dall'art. 385 del codice penale con la reclusione da uno a tre anni. La pena è elevata da due a cinque anni se l'evasione avviene con violenza o minaccia ed è portata da tre a sei anni se la violenza e la minaccia è commessa con armi o da due e più persone. Qual'è, nel caso dell'evasione, l'interesse protetto che legittima la presenza del servizio di sentinella? Evidentemente è l'interesse dello Stato a far espiare la pena a chi ha delinquito, il diritto dello Stato a punire chi si è messo contro le sue leggi, ad isolarlo dalla comunità per garantire a questa il diritto di vivere liberamente senza correre pericoli.Ipotesi di intervento armato
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L'uso legittimo delle armi, che da sempre rappresenta fonte di dibattito in dottrina, rappresenta anche per la Polizia Penitenziaria argomento di massimo interesse tenuto conto dei suoi compiti istituzionali.Ad esempio, si può fare uso delle armi contro il detenuto che:
1. si sta calando con il lenzuolo dalla finestra ma sta ancora nell'area dell'Istituto?
2. sta scalando il muro di cinta ?
3. è arrivato sul camminamento di ronda?
4. ha sequestrato degli operatori e si dirige verso la portineria esterna ?
5. nelle Colonie Agricole e nelle Case di Lavoro all'aperto, si sta allontanando dal posto di lavoro ma è ancora raggiungibile?
E' noto che nei nuovi istituti prima del muro di cinta c'è la precinta delimitata da una barriera esterna metallica alta 4/5 metri. In questi casi, il detenuto che sia riuscito a scavalcare il muro di cinta, si sia calato all'esterno ma sta attraversando l'area che lo porta verso l'ultima barriera esterna, si deve considerare evaso o in procinto di evadere? Si tratta di casi in cui il detenuto non si è ancora sottratto alla custodia, ben potendo essere ripreso per il pronto intervento del personale o perché decide di recedere dall'azione criminosa. In diritto si dice che non si è ancora consumato il reato e quindi essendo possibili altri tipi di intervento per sventare l'evasione non credo che si possa fare uso disinvoltamente delle armi. E' anche vero però che lo stesso diritto punisce come reato consumato anche il tentativo, cioè l'insieme di atti diretti in modo non equivoco a commettere un delitto. E nei casi sopraindicati chi potrebbe negare che si sono poste in essere azioni dirette in modo non equivoco ad evadere? Purtroppo una risposta precisa ed inequivocabile non esiste e tutto è lasciato all'apprezzamento della sentinella da una parte e del magistrato che farà l'inevitabile inchiesta dall'altra. Nessuno mai potrà compilare, con certezza, un decalogo in cui si dica quando si può o non si può fare uso delle armi nei casi sopraindicati. Ritengo che se il detenuto si trova ancora negli spazi interni dell'istituto, e quindi non si è ancora sottratto alla custodia dello Stato, non può essere fatto oggetto di spari se chi deve o dovrebbe intervenire ha i mezzi e la capacità per fermarlo in altro modo. Se uso delle armi ci può essere questo può avvenire soltanto quando il detenuto sta ponendo in essere gli ultimi atti prima di sottrarsi definitivamente alla custodia, atti esauriti i quali ormai sarebbe fuori dalla capacità di intervento delle sentinelle e del personale. D'altra parte ove la sentinella nulla facesse potrebbe essere incriminata per "procurata evasione" (art.386 c.p., pena da 6 mesi a 5 anni) o per "evasione per colpa del custode" (art. 387 pena fino a tre anni) ?
Uso legittimo delle armi
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Se al Corpo di Polizia Penitenziaria è stata affidata la sorveglianza armata dei detenuti (per sventarne le evasioni) e degli istituti penitenziari (per garantirne la sicurezza) è evidente, quindi, che è stato previsto anche l'uso delle armi.L'art. 38/3 del Regolamento del Corpo (D.P.R. 15 febbraio 1999, n. 82) stabilisce ad esempio che qualora si verifichi una circostanza che appaia rilevante agli effetti della sicurezza o dell'ordine dell'istituto, la sentinella, oltre a dare immediatamente l'allarme, adotta ogni iniziativa idonea ad evitare o diminuire il pericolo per la sicurezza dell'istituto senza venire meno ai suoi speciali doveri. Sicurezza è anche respingere aggressioni dall'esterno, atti questi ritenuti idonei a procurare turbamento per la sicurezza e l'ordine dell'istituto (es. atti di intimidazione terroristica, assalto per liberare detenuti, esplosione di bombe sotto il muro di cinta, uso di autobombe, lancio di armi all'interno, lancio di scale o di funi, attacco a mezzo elicottero allo scopo di creare scompiglio e prelevare un detenuto, spari contro le sentinelle).
Sono tutte ipotesi che di per se legittimano, ad avviso dello scrivente, l'uso delle armi da parte delle sentinelle o del personale preposto a guardia del carcere, ma è chiaro che vanno tutte inquadrate poi nella fattispecie vissuta concretamente. Chi fa fuoco o chi ordina di far fuoco non può non tener conto delle circostanze di fatto per le quali va salvaguardata comunque l'incolumità di terze persone incolpevoli.
Es. Gente che passa per strada, detenuti non coinvolti nel tentativo di evasione, colleghi di lavoro o altri operatori che si trovano sulla linea di tiro, etc.
L'uso delle armi deve essere quindi l'extrema ratio ma anche in questi casi deve contemperare le opposte esigenze del diritto di terzi con l'adempimento dei propri doveri di istituto.
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