La vicenda
Il caso nasce in Austria, come riporta una nota della Corte stessa, dove il venerdì santo è un giorno festivo retribuito unicamente per i membri delle Chiese evangeliche di confessione augustana e di confessione elvetica, della Chiesa vetero-cattolica e della Chiesa evangelica metodista. La concessione del giorno festivo dà la possibilità ai membri di tali Chiese di praticare la loro religione in tale giorno di celebrazione particolarmente importante senza dover prendere un giorno di ferie con il loro datore di lavoro. Se un membro di una di tali Chiese lavora in tale giorno, egli ha diritto a un'indennità per giorno festivo, in aggiunta alla retribuzione per il lavoro svolto. Così accade che Markus Achatzi, lavoratore dipendente della Cresco Investigation, che non appartiene ad alcuna delle Chiese in questione, ritiene di essere stato privato in maniera discriminatoria dell'indennità per giorno festivo per il lavoro svolto il 3 aprile 2015, giorno del venerdì santo, e chiede, a tale titolo, il pagamento, da parte del suo datore di lavoro, di un'indennità. Investita della controversia, la Corte suprema austriaca interroga la Corte sulla compatibilità della normativa austriaca di cui trattasi con il divieto, previsto dal diritto dell'Unione, di discriminazioni fondate sulla religione.
Corte Ue, discriminante la concessione di un giorno festivo retribuito solo ai religiosi
Secondo la Corte una normativa nazionale come dell'Austria, in base alla quale il venerdì santo è un giorno festivo solo per i lavoratori appartenenti a talune Chiese cristiane e dunque solo tali lavoratori hanno diritto, se chiamati a lavorare in tale giorno festivo, ad un'indennità complementare, costituisce una discriminazione diretta fondata sulla religione. La normativa, inoltre, non può essere giustificata come misura per la prevenzione dei diritti e delle libertà altrui, né quale misura specifica diretta a compensare svantaggi correlati alla religione. La discriminazione trovata sta nel fatto che la normativa austriaca di cui trattasi istituisce una differenza di trattamento fondata direttamente sulla religione dei lavoratori. Infatti, il criterio di differenziazione cui ricorre tale normativa deriva direttamente dall'appartenenza dei lavoratori a una determinata religione. Ed ancora, detta normativa ha l'effetto di trattare in maniera diversa, in funzione della religione, situazioni paragonabili. A questo si aggiunga che non si può ritenere che la normativa austriaca di cui trattasi contenga misure specifiche destinate a compensare uno svantaggio correlato alla religione nel rispetto del principio di proporzionalità e, per quanto possibile, del principio di uguaglianza.
In questo caso, le disposizioni di cui trattasi accordano un periodo di riposo di 24 ore, il venerdì santo, ai lavoratori appartenenti ad una delle Chiese in questione, mentre i lavoratori appartenenti ad altre religioni, le cui feste importanti non coincidano con i giorni festivi comuni in Austria, in linea di principio, possono assentarsi dal proprio lavoro per svolgere i riti religiosi relativi a tale festa solo in virtù di un'autorizzazione accordata dal loro datore di lavoro nell'ambito del dovere di sollecitudine. Così le misure di cui trattasi eccedono quanto è necessario per compensare un siffatto ipotetico svantaggio e che esse istituiscono una differenza di trattamento tra lavoratori, confrontati a obblighi religiosi paragonabili, che non garantisce, per quanto possibile, il principio di uguaglianza. Dunque, finché l'Austria non modificherà la normativa interna per ripristinare la parità di trattamento, un datore di lavoro privato sarà obbligato, a determinate condizioni, ad accordare anche agli altri suoi lavoratori il diritto ad un giorno festivo retribuito, il venerdì santo.Scarica pdf sentenza Corte Ue C-193-17
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