di Annamaria Villafrate - La Cassazione n. 3989/2019 (sotto allegata) ritiene infondato il ricorso dell'imputato nella parte in cui contesta l'applicazione di una pena diversa rispetto a quella concordata (art. 444 cpp).
Nel caso di specie, infatti, non è intervenuta nessuna modifica delle fattispecie contestata, ma solo la specificazione di considerare la circostanza aggravante dell'uso del mezzo informatico, così come è stato ritenuto l'utilizzo di whatsapp, come subvalente, per conservare l'apparato sanzionatorio concordato.
La vicenda processuale
Il tribunale di primo grado applica, ai sensi dell'art. 444 cpp, la pena di sei mesi di reclusione, rilevando la circostanza aggravante del mezzo informatico dovuta all'utilizzo di whatsapp e condannando l'imputato alla rifusione dei compensi di assistenza e rappresentanza, oltre accessori di legge. Ricorre in Cassazione l'imputato contestando, tra l'altro, il fatto che il Pm abbia ritenuto come circostanza aggravante, con conseguente modifica dell'imputazione, l'uso dei mezzi informatici, ritenendo erroneamente riconducibile a questi la messaggistica telefonica utilizzata.
Stalking aggravato via Whatsapp
La Corte di Cassazione nella sentenza
n. 3989/2019 ritiene infondato questo motivo di ricorso visto che "nel caso di specie, non vi è stata alcuna modifica della fattispecie contestata, ma la mera esplicitazione, rispetto al fatto specificatamente descritto nel capo di imputazione, della necessità di considerare la circostanza aggravante dell'uso del mezzo informatico - quale puntualmente ritenuto l'impiego del sistema di messaggistica whatsapp, come subvalente, in modo da conservare il risultato sanzionatorio concordato dalle parti."Leggi anche:
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