di Annamaria Villafrate - La sentenza n. 2173/2019 della Cassazione rigetta il ricorso di una giovane madre, condannata per il reato di affidamento illegittimo del proprio figlio, ceduto a una coppia senza ricevere alcun compenso, che invece è stato corrisposto al solo ginecologo. Sul fatto di non aver richiesto alcunché per l'affidamento del bambino, la donna imposta la sua linea difensiva. La Cassazione però precisa che, affinché si configuri il reato contemplato dall'art. 71 della legge n. 184/1983 non è richiesto che chi affida il bambino a terzi in via definitiva o stabile riceva un compenso, quanto piuttosto chi lo riceve sia disposto a pagare per soddisfare il proprio desiderio di genitorialità. La ratio della norma infatti è di tutelare l'interesse del bambino ad un affidamento legittimo all'interno di una regolare procedura di adozione.
La vicenda processuale
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La Corte d'appello conferma la sentenza di primo grado, che ha condannato due soggetti alla reclusione con il riconoscimento delle attenuanti generiche e il beneficio della sospensione condizionale della pena. La Corte condivide e richiama le valutazioni del giudice di primo grado sulla responsabilità degli imputati, per aver preso parte all'accordo con il ginecologo, che ha promesso loro l'affidamento di un nascituro, dietro il riconoscimento di 20.500 euro, con l'intesa di modificare successivamente lo stato di nascita dello stesso.
Il giorno del parto l'accordo si concretizza con la consegna del neonato alla coppia e con il pagamento della somma di 20.500 al ginecologo. Non si porta a compimento però l'alterazione dello stato di nascita a causa di un contrattempo che impediva al medico di alterare le carte inviate dall'amministrazione dell'ospedale al Comune. La partoriente è ritenuta responsabile, a titolo di concorso nel delitto previsto dall'art. 71 della legge n. 184/1983 " per essersi prestata consapevolmente alla consegna del proprio figlio alla coppia."
Senza compenso nessun reato?
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Ricorre in Cassazione la madre naturale, ritenendo che la sua condotta non integri il reato previsto dall'art. 71 della legge n. 184/1983. L'affido infatti è avvenuto al di fuori di un procedimento di adozione, visto che si è realizzato piuttosto un affidamento di fatto e senza il riconoscimento di un corrispettivo in denaro, che è stata versato dalla coppia solo al ginecologo.
In assenza di un profitto in denaro infatti, secondo la ricorrente, difetterebbe "l'ulteriore elemento della cessione del minore verso un corrispettivo economico che sarebbe necessario per integrare il delitto in esame."La donna contesta inoltre quanto affermato dalla Corte d'Appello, secondo la quale ella avrebbe partecipato consapevolmente alla consegna del figlio dietro corrispettivo. Tale conclusione non sarebbe altro che il frutto di una lettura errata delle risultanze probatorie, visto che la stessa non solo non conosceva la coppia a cui il nascituro sarebbe stato affidato, ma non era a conoscenza neppure del fatto che questa avrebbe dovuto versare la somma concordata al proprio ginecologo.
Maternità surrogata vietata senza se e senza ma
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La Cassazione però con sentenza n. 2173/2019 rigetta il ricorso della giovane donna, tra l'altro, in quanto "si ritiene infondata la questione di diritto dedotta in relazione alla fattispecie di reato prevista dall'art 71 legge n. 184/1983. Il predetto delitto non richiede affatto che l'affidamento illegale del minore sia avvenuto nell'ambito di una procedura formale di adozione, né è richiesto per colui che affida il minore la previsione di un compenso economico come corrispettivo della consegna del minore stesso, essendo tale compenso previsto solo come condizione di punibilità per colui che "riceve" il minore in illecito affidamento."
La norma, ai fini della integrazione del reato richiede infatti, non che il compenso venga ricevuto da chi da in affidamento il bambino, ma che venga corrisposto da chi riceve il nascituro in affido in via definitivo o stabile. In linea con una precedente Cassazione, è chiara la ratio dell'art. 71 della legge n. 184/1983: "chi affida illegittimamente il minore viola sempre l'interesse del minore ad un affidamento nel rispetto di tutte le condizioni poste a sua tutela (stabilità della coppia affidataria, maturità e capacità educativa della stessa, etc.); chi lo riceve è punito, invece, solo se ha pagato, evidentemente perché non si è ritenuto meritevole di pena colui che lo riceva per appagare un desiderio naturale di genitorialità, senza ricorso a strumenti corruttivi."
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Scarica pdf Cassazione penale sentenza n. 2173-2019