di Lucia Izzo - Scatta il reato di stalking nei confronti del partner che, a seguito di separazione, assume un atteggiamento molesto e persecutorio verso l'ex. Ai fini dell'integrazione del reato è sufficiente che gli atti persecutori abbiano avuto un effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima, posto che la fattispecie di cui all'art. 612-bis c.p. non costituisce una duplicazione del reato di lesioni.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, nella sentenza n. 5499/2019 (qui sotto allegata) dichiarando inammissibile il ricorso di un uomo condannato per il reato di atti persecutori (art. 612-bis c.p.) commesso nei confronti della moglie, da lui legalmente separata, mediante molestie, pedinamenti e telefonate.
L'imputato, a seguito della separazione, non aveva rispettato le prescrizioni relative al rapporto con i figli, pretendendo di vederli al di fuori degli orari e dei giorni stabiliti. Aveva dunque tenuto una condotta minacciosa e molesta nei confronti della ex moglie, tra cui telefonate sul luogo di lavoro con insulti, frasi gravemente offensive, oltre a chiare minacce che per i giudici integrano pienamente le condotte abituali perseguite dal reato in questione.
Stalking se la condotta persecutoria è continuata dopo il D.L. 11/2009
Una decisione contestata dall'uomo in Cassazione sotto plurimi profili che, tuttavia, si risolvono in un nulla di fatto. Uno dei motivi di ricorso si sofferma sul profilo temporale della vicenda: l'uomo sostiene che i fatti lui contestati siano stati posti in essere prima che il reato di stalking fosse introdotto dal D.L. 11/2009.
In realtà, la sentenze di merito hanno collocato cronologicamente molti degli episodi in epoca successiva all'entrata in vigore del decreto legge, come dimostrato dalle denunce sporte della persona offesa e dalle indagini effettuate dalle forze dell'ordine successivamente al febbraio 2009.
Il delitto di atti persecutori, rammenta la Cassazione, è configurabile nell'ipotesi in cui, pur essendo la condotta persecutoria iniziata in epoca anteriore all'entrata in vigore della norma illuminatrice, si accerti la commissione reiterata anche dopo l'entrata in vigore del D.L. 23 febbraio 2009, n. 11 (conv. in L. 23 aprile 2009, n. 38).
Sufficiente che gli atti persecutori destabilizzino psicologicamente la vittima
Inutile per il ricorrente ritenere mancanti elementi comprovanti il perdurante stato d'ansia o paura nella vittima, ovvero il fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto, ovvero l'alterazione delle abitudini di vita.
Sul punto, sottolineano gli Ermellini, la sentenza impugnata ha motivato adeguatamente in ordine all'angoscia provata dalla donna, al punto che la stessa era stata costretta a trascurare il proprio aggiornamento professionale rischiando la sospensione dall'albo.
Il Collegio precisa anche che, ai fini della integrazione del reato di atti persecutori, non si richiede l'accertamento di uno stato patologico, ma è sufficiente che gli atti ritenuti persecutori abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima, considerato che la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 612-bis c.p. non costituisce una duplicazione del reato di lesioni.
Inoltre, ai fini della configurabilità del reato di atti persecutori, non è necessario che la vittima prospetti espressamente e descriva con esattezza uno o più degli eventi alternativi del delitto, potendo la prova di essi desumersi dal complesso degli elementi fattuali altrimenti acquisiti e dalla condotta stessa dell'agente.
Profili che si rintracciano nel caso in esame in cui risulta, altresì, dimostrato l'elemento psicologico del reato in capo all'imputato, ovvero il dolo generico, che è realizzato dalla volontà di porre in essere più condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell'abitualità del proprio agire.
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