di Lucia Izzo - Non sfugge alla condanna per abbandono di animali la persona affetta da disturbo bipolare se è dimostrato che la patologia, seppur confermata all'epoca dei fatti, non fosse di entità tale da invalidare completamente la coscienza e dunque da incidere sulla capacità di intendere e di volere.
Sono le conclusione a cui è giunta la Corte di Cassazione, terza sezione penale, nella sentenza n. 7259/2019 (qui sotto allegata) pronunciandosi sul ricorso di una donna ritenuta colpevole del reato di abbandono di animali (art. 727 c.p.).
In particolare, l'imputata aveva abbandonato un cane di circa 5 mesi di età lasciandolo legato a un palo lungo il margine di una strada ed, essendo stata riconosciuta affetta da parziale vizio di mente, era stata condannata alla pena di mille euro di ammenda, oltre al risarcimento danni nei confronti della Lega italiana per i diritti degli animali costituitasi parte civile
In Cassazione, tra le doglianze difensive, viene sostenuta la non imputabilità dell'imputata in quanto, al momento del fatto, la donna sarebbe stata totalmente incapace di intendere e di volere, come documentato, secondo la difesa, dal certificato del medico che all'epoca dei fatti l'aveva in cura presso una struttura pubblica di igiene mentale.
Abbandono di animali: la patologia psichiatrica non evita la condanna se non rende incapaci di intendere e volere
Nel respingere il motivo di ricorso, gli Ermellini evidenziano come la certificazione medica richiamata dalla difesa riferisca, in epoca di quasi due anni successiva a quella dei fatti, l'esistenza a carico dell'imputata di una patologia psichiatrica di tipo bipolare, in trattamento farmacologico, che ha giustificato, nel tempo, numerosi ricoveri ospedalieri della donna-
Una conclusione che non discosta dalle risultanze a cui era giunto il CTU nominato dal Tribunale che, somministrati alla donna gli opportuni test diagnostici e valutata la documentazione clinica riferita alla pregressa sintomatologia della prevenuta, aveva rilevato una patologia di tipo bipolare, a cicli rapidi, non incidente sulla capacità di intendere e di volere.
Si tratta di rilievi che, secondo la Cassazione, non risultano in nulla contraddetti dalla documentazione offerta dalla ricorrente che, anzi, appare testimoniare una lunga remissione della patologia, sia pure non definitiva. D'altronde, osserva la Corte, di tale patologie non è mai stata dichiarata la valenza invalidante della coscienza e, quindi della capacità di intendere e di volere, proprio a partire dal periodo in cui si sono svolti i fatti per cui è processo.
Poiché il giudice a quo ha fatto buon governo delle disposizioni che regolamento la materia in questione, dichiarando la sola parziale imputabilità della imputata, il ricorso va respinto.
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