L'ordinamento giuridico riconosce al trascorre del tempo il peculiare effetto di qualificare una situazione di mero fatto quale conforme all'ordinamento giuridico

Dott. Salvatore Tartaro - L'ordinamento giuridico riconosce al trascorre del tempo il peculiare effetto di qualificare una situazione di mero fatto quale conforme all'ordinamento giuridico.

Il fondamento giuridico della prescrizione

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La teoria dottrinaria prevalente individua nelle prescrizioni, il meccanismo tramite cui la legge riconosce tale effetto, eliminando le discrasie createsi illo tempore nell'ordinamento giuridico rimuovendo l'incertezza che circonda una situazione giuridica esistente.

Altre teorie rinvenivano il fondamento giuridico della prescrizione nella rinuncia tacita al diritto, nel carattere di precipuamente temporaneo dei rapporti giuridici nonché nella tutela della buona fede.

Ambedue le teorie hanno ricadute giurisprudenziali. La giurisprudenza, infatti, ha rinvenuto il presupposto dell'operatività del meccanismo nella presunzione di abbandono del diritto da parte del titolare (cfr. Cass. Civ., sent. 18 gennaio 2007, n. 1090), benché, tuttavia, ciò non escluda che il fondamento giuridico di tale istituto sia da rinvenire nella tutela della certezza del diritto e dei traffici giuridici (cfr. Corte Cost., sent. 10 giugno 1966, n. 63).

In considerazione del fatto che l'effetto della prescrizione è quello di estinguere i diritti, è stata teorizzata l'equiparazione di tale istituto ai modi di estinzione dell'obbligazione. Di diverso avviso è chi rinviene nella prescrizione effetti meramente preclusivi muovendo dalla contestazione che l'operatività dei modi di estinzione di un obbligazione presuppone l'esistenza di un rapporto giuridico; ciò, per converso, non sarebbe presupposto della dichiarazione di intervenuta prescrizione la quale può pervenire molto oltre il dies a quem.

I diritti imprescrittibili

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A tenore dell'art. 2934 cod. civ. la prescrizione è un istituto generale che si applica, al di fuori dei casi di decadenza di cui all'art. 2964 cod. civ., a tutti i diritti, che siano indisponibili (art. 2934, co. 2 cod. civ.).

Nel silenzio della legge l'indisponibilità si configura come qualità abnorme del diritto soggettivo, attribuitagli dalla legge sulla scorta di una valutazione dell'essenzialità del medesimo in relazione alla sua funzione teleologica ed al contesto etico-sociale di riferimento.

Sono indisponibili, e quindi imprescrittibili, i diritti riconosciuti alla persona umana direttamente nella Carta Costituzionale (diritto alla salute; diritto all'istruzione), ovvero nell'ambito di specifici settori dell'ordinamento. Così, esemplificativamente, nell'ambito del diritto di famiglia sono prescrittibili tutti i diritti patrimoniali, mentre sono imprescrittibili i diritti di stato e le potestà (artt. 248 - 263 - 270 cod. civ.).

Imprescrittibilità del diritto di proprietà

Benchè non sia testualmente previsto è pacifica l'imprescrittibilità del diritto di proprietà come desumibile dall'art. 948, co. 3 cod. civ. in virtù del quale "l'azione di rivendicazione non si prescrive, fatti salvi gli effetti dell'usucapione". Il fondamento giuridico dell'imprescrittibilità del dominio veniva tradizionalmente ricondotto al fatto che l'inerzia nell'esercizio del dominio non può costituire presupposto di operatività del meccanismo delle prescrizioni costituendo estrinsecazione del potere di signoria sulla res. Tale teorica tradizionale appare desueta oltre che in contrasto con l'affermazione dell'esistenza di obblighi di custodia e manutenzione imposti al proprietario ope legis quali corollario dell'art. 41 cost.. Più aderente al dettato costituzionale appare la teoria che vede l'imprescrittibilità del dominio quale conseguenza del fatto che il diritto di proprietà si estrinseca in un rapporto con la res, e non con altro soggetto dal quale possa promanare un interesse contrapposto che determina la situazione di incertezza giuridica che l'operatività della prescrizione tende a voler ricomporre.

La disciplina

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Le norme che disciplinano l'istituto della prescrizione sono inderogabili per espressa previsione dell'art. 2936 cod. civ. che sancisce la nullità dei patti volti a modificare tale disciplina.

Il diritto ad eccepire la prescrizione è disponibile solo nel caso in cui ad essere controverso è un diritto disponibile, con la conseguenza che solo in tali circostanza, una volta maturata, la parte può rinunciare ex art. 2937 cod. civ. ad avvalersi di tale meccanismo.

La rinunzia alla prescrizione può essere espressa tramite apposito atto dal contenuto non formalizzato, ma può anche essere desunta da fatti concludenti "incompatibili con la volontà di avvalersi" (ar. 2937, co. 3 cod. civ.) della stessa.

La legge individua la prescrizione ordinaria decennale di cui all'art. 2946 cod. civ. quale regola generale applicabile ai diritti di credito ed ai diritti reali, ad eccezion fatta per i diritti di godimento in re aliena che si prescrivono in venti anni, seguendo il termine previsto per la maturazione dell'usucapione.

Costituiscono ipotesi eccezionale le prescrizioni brevi (quinquennale o triennale) di cui agli artt. 2947 ss. cod. civ. e le prescrizioni presuntive di cui agli artt. 2954 ss. cod. civ. (sei mesi o un anno).

Il dies a quo

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Sanando una lacuna testuale del codice del 1865, il codice civile prevede che "la prescrizione comincia a decorrere dal momento in cui il diritto può essere fatto valere" (art. 2935 c.c.).

La generica formulazione della norma, finalizzata ad imporsi quale principio generale, solleva cospicue difficoltà ermeneutiche in considerazione della diversità strutturale dei diritti, atteso che, mentre i diritti reali limitati sono tutelati ipso iure, vedesi esemplificativamente l'ipoteca soggetta a prescrizione ventennale che decorre dalla data di iscrizione, i diritti di credito esigono la collaborazione del debitore con la conseguenza che, di volta in volta, occorrerà valutare se sul creditore gravava l'onere di richiedere la collaborazione del debitore.

L'impostazione giurisprudenziale e dottrinale prevalente tende ad interpretare la locuzione di cui all'art. 2935 cod. civ. quale riferimento alla possibilità legale di esercitarlo, con la conseguenza che non sussistono limiti fattuali alla decorrenza dei termini di prescrizioni, ma solo impedimenti legali circuiti, in linea di principio, alla soggezione del diritto ad una condizione sospensiva ovvero ad un termine iniziale.

Tuttavia, tale impostazione muove dal presupposto che l'art. 2935 cod. civ. implichi l'avocazione della teoria della realizzazione in virtù del quale il momento in cui comincia a decorrere i termini prescrizionali non coincide con il momento della realizzazione della lesione, bensì con il momento in cui il creditore avrebbe potuto attivarsi per far valere il proprio diritto.

La compatibilità di tale impostazione al sistema delineatosi nel panorama giurisprudenziale è evidente in materia di danni lungolatenti, con ciò riferendosi a quei danni rispetto i quali il momento di inflizione della lesione non coincide con il momento della percezione da parte del danneggiato.

Le Sezioni Unite sui danni lungolatenti

La questione relativa al decorso del termine prescrizionale breve in ipotesi di illecito extracontrattuale caratterizzato dalla scissione del momento di verificazione dell'alterazione in peius delle condizioni del danneggiato rispetto al momento della percezione della stessa è stata oggetto di contrasto giurisprudenziale la cui ricomposizione è stata rimessa alle cure delle Corte in composizione nomifilattica.

Le Sez. Un. (n. 576/20008) hanno risolto il contrasto sorto in tema di individuazione del dies a quo applicando i criteri della conoscibilità del danno e della rapportabilità causale.

Il primo criterio implica che la prescrizione non può mai decorrere indipendentemente dalla conoscibilità del danno da parte del danneggiato. Il secondo, invece, esige il quid pluris, della conoscibilità della rapportabilità causale della lesione conosciuta ad una determinata condotta. Tale criterio, di precipuo interesse in tema di risarcimento dei cd. danni stocastici, deve essere condotto in via prognostica ed in astratto, occorrendo valutare se, al momento di conoscenza della lesione, visto lo stato dell'arte della scienza medica, il danneggiato, impiegando l'ordinaria diligenza, avrebbe potuto riconoscere la relazione causale tra una data condotta e la lesione da lui riconosciuta.

E' evidente che, affinché l'individuazione dell'exordium praescriptionis tramite il criterio della rapportabilità causale non sia rimesso al discrezionale giudizio di conoscibilità soggettiva, il Giudice dovrà applicarlo in via prognostica e su base astratta non con riferimento all'ordinaria diligenza dell'uomo medio, la cui esigibilità si stagna nella condotta di sottoposizione a controlli specifici, bensì con riferimento allo stato dell'arte della scienza medica al momento della conoscenza della lesione, onde valutare se la relazione causale tra una data condotta ed un evento lesivo sia già nota alla comunità scientifica.

Il dies a quo negli illeciti permanenti

La giurisprudenza di legittimità definisce l'illecito permanente quella condotta contra ius, connotata da dolo o colpa, che non si esaurisce uno actu traducendosi "in un'attività perdurante nel tempo, costantemente sorretta dall'elemento psicologico, tale da comportare una violazione ininterrotta del diritto altrui, con la coesistenza temporale sia della condotta illecita che del danno" (cfr. Cass. Civ., sent. 21 novembre 2007, n. 24528). In tali evenienze il dies a quo del termine prescrizionale va ricondotto al momento in cui cessa la perpetrazione della condotta illecita.

Il dies a quo negli illeciti istantanei ad effetti permanenti

Diversamente la giurisprudenza individua la caratteristica degli illeciti istantanei ad effetti permanenti nell'autonoma espansibilità degli effetti della lesione. Ciò pertanto la condotta si risolve nel compimento di un unico atto, o di una serie di atti caratterizzati da reciproca strumentalità, da cui consegue un danno permanente. Tuttavia "la protrazione nel tempo [del danno] non assume rilevanza ai fini dell'inizio della prescrizione, dovendosi l'istantaneità o la permanenza dell'illecito extracontrattuale accertare con riferimento non già al (permanere del) danno, bensì al rapporto eziologico tra questo ed il comportamento contra ius" (cfr. Cass. Civ., sent. 21 novembre 2007, n. 24528), con la conseguenza che in tali evenienze il dies a quo va identificato con il momento di consumazione della condotta illecita.

L'eccezione di prescrizione tra condebitori in materia di RCA

E' opinione largamente diffusa, alla stregua dei principi processual-civilistici, che l'eccezione di prescrizione sollevata da uno dei condebitore non dispiega i suoi effetti anche verso gli altri condebitori. L'appiglio normativo di tale impostazione va ricercato all'art. 1310, co. 3 cod. civ. in base al quale la rinunzia alla prescrizione esercitata da uno dei condebitori non si estende anche agli altri. Un orientamento della Corte di Legittimità, infatti, preso atto che la rinunzia alla prescrizione costituisce atto negoziale, ha avuto modo di precisare che il tenore della norma suggerisce che, in linea di principio, il legislatore non ha inteso estendere automaticamente a tutti i condebitori l'intenzione di ciascuno di essi verso la possibilità di rinunciare o eccepire l'intervenuta prescrizione. Tale impostazione è entrato in crisi in tema di risarcimento danni da circolazione stradale in quanto, l'omissione dell'eccezione di prescrizione da parte dell'assicurato impedirebbe, di fatto, che l'eccezione di prescrizione sollevata dalla compagnia assicuratrice possa promulgare gli effetti che la legge vi ricollega. A tal riguardo si segnala che un orientamento più risalente (cfr. Cass. Civ., sez. Un., sent. 24 luglio 1081, n. 4779), proprio in applicazione dell'art. 1310 cod. civ., riteneva che l'assicurato, in quanto debitore in solido con la compagnia assicuratrice per il risarcimento dei danni da circolazione stradale, non poteva giovarsi dell'eccezione di prescrizione sollevata dalla compagnia, con la conseguenza che, nei suoi confronti, il diritto del danneggiato al risarcimento del danno non poteva considerarsi estinto. L'orientamento contrario, invece, proprio in considerazione della paradossale conseguenza dell'applicazione dell'art. 1310 co. 3 cod. civ. in tali ipotesi, ha ritenuto che tale norma non si applica qualora "dalla sopravvivenza del rapporto obbligatorio in capo all'altro condebitore possano derivare conseguenze pregiudizievoli" per l'eccepiente. (cfr. Cass. Civ., sent. 22 marzo 2007, n. 6934).

Sospensione e interruzione della prescrizione

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Il decorso del termine di prescrizione può essere sospeso ho interrotto.

La sospensione del termine prescrizionale costituisce una ipotesi eccezionale che ricorre nei casi tassativamente previsti dalla legge, segnatamente agli artt. 2941 e 2942 cod. civ. ed art. 18, co. 1 della L. 20 maggio 2016, n. 76.

Le cause di sospensione incidono diversamente sul decorso del termine prescrizionale a seconda del fatto che il suo decorso sia cominciato, ovvero sia da cominciare. Nel primo caso la causa di sospensione determina ipso iure il temporaneo arresto del decorso del termine; nel secondo caso il dies a quo sarà prorogato sino al momento della cessazione della causa di sospensione.

Diversamente, l'interruzione opera solo in ipotesi di decorrenza del termine ed in presenza di una condotta attiva del creditore (costituzione in mora o vocatio in ius) tale da manifestare tacitamente od espressamente la volontà di esercitare il suo diritto.

L'avvenuta interruzione del termine di prescrizione, costituendo eccezione in senso lato, può essere rilevata officiosamente dal giudice dal complessivo tenore degli atti.

L'interruzione della prescrizione determina la decorrenza di un nuovo termine prescrizionale.

Le prescrizioni presuntive

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Le prescrizioni presuntive, disciplinate agli artt. 2954 ss. cod. civ., non costituiscono causa di estinzione delle obbligazioni, operando esclusivamente sul piano degli oneri probatori quale presunzione semplice di avvenuta estinzione dell'obbligazione per qualsiasi causa.

Il fondamento giuridico dell'istituto delle prescrizioni presuntive va ricercato nella particolare natura dei rapporti obbligatori soggetti a tale regime, trattandosi di obbligazioni che, secondo l'id quod plerumque accidit, vengono estinte contestualmente all'esecuzione della prestazione.

Il particolare regime probatorio conseguente all'eccezione di prescrizione presuntiva dell'obbligazione onera il creditore di fornire prova del mancato adempimento della prestazione da parte del debitore. Tuttavia, la prova del mancato pagamento della prestazione che si eccepisce presuntivamente estinta può essere fornita solo tramite confessione o tramite deferimento di giuramento decisorio al debito.

Atteso il peculiare effetto sul regime degli oneri probatori, giurisprudenza consolidata ritiene che l'eccezione di prescrizione presuntiva sia assolutamente incompatibile con qualsiasi difesa finalizzata a negare l'esistenza del credito (es. invalidità del contratto) o dalla quale sia implicitamente possibile desumere con non si sia verificata alcuna causa estintiva dell'obbligazione.

Le decadenze

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A differenza della prescrizione, che costituisce regola generale di estinzione del diritto, nel silenzio del legislatore, la decadenza è stata ricostruita quale ipotesi eccezionale che non inciderebbe sull'estinzione del generico esercizio di un diritto bensì sull'estinzione del diritto a compiere un determinato atto.

Mentre ogni diritto, ad esclusione di quelli imprescrittibili, sono soggetti alla prescrizione estintiva, le ipotesi di decadenza sono previste tassativamente dalla legge e pertanto insuscettibili di applicazione analogica.

L'istituto della decadenza presenta notevoli affinità con la prescrizione, fondandosi sul presupposto dell'inattività della parte per un determinato lasso di tempo.

Non a caso il legislatore ha previsto che alle ipotesi di decadenza si applicano, laddove compatibili, le norme relative alla prescrizione.

Pacificamente la giurisprudenza ritiene applicabile alle ipotesi di decadenza l'art. 2935 cod. civ. in ordine all'individuazione del dies a quo, l'art. 2937, co. 1 e 3 cod. civ., l'art. 2939 cod. civ. relativo all'opponibilità della prescrizione da parte di terzi, e gli artt. 2962 e 2963 cod. civ. relativa al computo dei termini (cfr. Cass. Civ., sent. 13 agosto 2004, n. 15832).

Alla luce di ciò i termini decadenziali decorrono dal momento in cui il creditore può compiere l'atto previsto dalla legge a pena di decadenza.

Come per la prescrizione, nelle ipotesi di decadenza il debitore può rinunciare, anche tacitamente, alla relativa eccezione qualora si controverta su diritti disponibili.

Controversa è invece l'applicazione dell'art. 2940 cod. civ. sul pagamento del debito prescritto. La teoria più accreditata ritiene applicabile tale norma sono in presenza di diritti disponibili, atteso che, nel caso contrario, l'irrinunziabilità dell'eccezione di decadenza implica, automaticamente, che il debitore possa agire per la restituzione dell'indebito entro il termine prescrizionale che risulta applicabile al diritto controverso.

Alla decadenza non si applicano le norme relative all'interruzione dei termini prescrizionali per espressa previsione dell'art. 2964 cod. civ., in quanto strutturalmente incompatibili con un termine posto a presidio non di un interesse generale alla certezza dei traffici giuridici, bensì di un interesse particolare al compimento di un atto prodromico all'esercizio di peculiari facoltà connesse ad un diritto.

Si applicano, per converso, ed esclusivamente nelle ipotesi espressamente previste dalla legge la sospensione dei termini.

Trattandosi di norma derogatoria, la sospensione della decadenza è ammissibile nei soli casi previsti dalla legge tra i quali, si ricordano, le ipotesi di cui agli artt. 245 - 489 e 802 cod. civ.

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- La prescrizione

- La prescrizione civile

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