di Annamaria Villafrate - La sentenza n. 5431/2019 della Cassazione (sotto allegata) precisa che, per ottenere il risarcimento del danno patrimoniale da demansionamento il lavoratore deve provare un effettivo impoverimento della capacità professionali e l'effettiva frustrazione di possibili e future chance lavorative. L'inattività forzata infatti non può essere considerata di per sé una fonte di danno.
La vicenda processuale
La Corte d'appello di Roma conferma le statuizioni di risarcimento del danno morale ed esistenziale e quella sulla "responsabilità del datore di lavoro per la dequalificazione professionale subita dal ricorrente. Il giudice di secondo grado però respinge la domanda relativa al danno professionale di natura patrimoniale, considerata l'assenza di specifiche prove e allegazioni.
Ricorre in Cassazione il calciatore, affidandosi a due motivi. Con il primo contesta la violazione da parte della Corte d'Appello del principio di corrispondenza tra il devoluto e il riformato. Con il secondo invece contesta come il giudice di secondo grado:
- non abbia esaminato un fatto decisivo per il giudizio circa la sussistenza di un demansionamento connotato da particolare gravità, durata e intensità e non contestato dalla società:
- si sia discostata da precedenti pronunce di legittimità "nel non considerare la forzata inattività di per sé quale fonte di danno";
- non abbia contemplato che il danno da demansionamento, potesse essere dimostrato, come accaduto in questo caso, in via presuntiva ai sensi dell'art. 2729 c.c.
Demansionamento: serve prova impoverimento capacità professionali
La sentenza n. 5431/2019 della Cassazione rigetta il ricorso per diversi motivi. Sul punto relativo alla possibilità di dimostrare il danno da demansionamento per presunzioni la Corte precisa che "La prova del danno da demansionamento
e dequalificazione professionale può essere data dal lavoratore anche ai sensi dell'art. 2729 c.c., attraverso l'allegazione di elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti, potendo a tal fine essere valutati la qualità e quantità dell'attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la durata del demansionamento, la diversa e nuova collocazione lavorativa assunta dopo la prospettata dequalificazione. Con particolare riferimento al danno professionale di natura patrimoniale, si è precisato (SU. n. 6572 del 2006) come lo stesso possa consistere sia nel pregiudizio derivante dall'impoverimento della capacità professionale acquisita dal lavoratore e dalla mancata acquisizione di una maggiore capacità, ovvero nel pregiudizio subito per perdita di chance, ossia di ulteriori possibilità di guadagno."Il pregiudizio tuttavia non può essere riconosciuto se manca la necessaria allegazione, deducendo ad esempio che l'attività, nel momento in cui viene meno il suo esercizio per un tempo apprezzabile, è destinata a non evolvere e a perdere i vantaggi ad essa connessi. Stesse conclusioni per quanto riguarda la perdita di chance. Il lavoratore deve infatti provare la concreta perdita di possibilità occupazionali e di guadagno, che avrebbe potuto ottenere nel caso in cui il rapporto si fosse svolto regolarmente.
Inammissibile infine il motivo del ricorso relativo all'omesso esame del fatto di demansionamento, che invece è stato analizzato ampiamente in sede d'appello.
Scarica pdf. Cassazione lavoro sentenza 5431-2019.pdf• Foto: 123rf.com