di Angelo Casella - Qualcuno ha recentemente affermato che l'indipendenza della banca centrale è un "valore" istituzionale importante e, come tale, da difendere in via primaria contro il tentativo dei populisti del governo italiano di negare il rinnovo della carica a un vice direttore dell'ente.
1. - Prescindiamo dalla considerazione che il rifiuto era motivato e che il rinnovo è comunque soggetto alla discrezionale approvazione dell'organo di governo.
Che l'indipendenza costituisca un "valore", non c'è alcun dubbio, sennonchè non per lo Stato, ovvero per la collettività, bensì per precisi centri di interesse particolare: banche e istituti finanziari.
E questo spiega come trovi tra i suoi paladini il FMI, il noto custode e protettore degli interessi della finanza (che lo pone come condizione per la concessione dei suoi prestiti) e la c.d. Europa unita (che svolge la stessa funzione).
2.- In effetti, si tratta di un privilegio, contrario agli interessi della collettività, del tutto ingiustificato e inaccettabile.
Chiariamo il concetto. La banca centrale è un ente privato. Si tratta infatti di una sorta di società per azioni il cui capitale - costituito da azioni, chiamate "quote" per confondere le idee - è detenuto totalmente da banche e istituti finanziari. Questo ente, pur essendo privato, svolge funzioni pubbliche. (Fatto certamente anomalo). E' chiaro che, con tali attribuzioni, concedergli la detta indipendenza, significa consentirgli di gestire le dette funzioni pubblicheliberamente ed in completa autonomia (cioè senza chiedere nè rendere conto ad alcun organo dello Stato). Queste funzioni sono ciò che si chiama politicamonetaria, strumento essenziale per governare l'economia di un Paese. (Alla banca centrale è affidata anche la vigilanza sulle banche, cioè sugli enti che ne detengono il capitale. E poi qualcuno si sorprende della inefficacia di tale sorveglianza...).
Politica monetaria vuol dire fissare i tassi di interesse (cioè il costo del denaro per i cittadini), stabilire il tasso di cambio della moneta, determinare la quantità della massa monetaria, decidere il volume complessivo dei crediti, controllare l'inflazione.
3.- Le deliberazioni assunte in tutti questi settori producono effetti immediati e diretti sulla economia del Paese e, in particolare, su prezzi, investimenti, occupazione e consumi. Scelte, dunque che toccano direttamente tutti i cittadini ed il livello del loro benessere e che, come tali spettano, a pieno titolo, agli organi dello Stato, non ad un ente privato, per giunta autonomo.
Attribuirle in esclusiva, con la c.d. "indipendenza", alla banca centrale (i cui vertici nessuno ha eletto e che a nessuno rispondono), comporta sottrarle alla volontà popolare, cioè escluderle dalla gestione democratica del Paese.
Agli enti finanziari è concesso, insomma, di gestire il Paese in funzione dei loro propri interessi. Tutti ricorderanno quando il capo del governo Craxi chiese all'allora governatore Ciampi di abbassare i tassi di interesse per rilanciare l'economia. E l'autonomo Ciampi, pensoso degli svantaggi che sarebbero ricaduti sulle banche, si rifiutò.
4.- Uno Stato non può seriamente definirsi democratico quando tematiche di tale rilevanza sociale vengono consegnate a centri di interesse particolare. Se il popolo è sovrano non può tollerare la indipendenza della banca centrale: è una contraddizione insanabile.
Si può ancora notare che - in atto - la banca centrale viene a disporre di un potere perfino superiore a quello dello Stato. Infatti, se il politico di turno delude, non sarà rieletto, mentre qualunque cosa facciano i vertici della banca, nessuno potrà mai mandarli a casa. Si tratta di intoccabili.
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