Per la Consulta è incostituzionale la pena minima di 8 anni, anziché 6, ex art. 73, comma 1, del Testo Unico sugli stupefacenti stante l'anomalia sanzionatoria creatasi tra fatti lievi e non lievi

di Lucia Izzo - È sproporzionata la pena minima di otto anni, anziché sei, prevista per i reati non lievi in materia di stupefacenti.


Lo ha stabilito la Corte costituzionale nella sentenza n. 40/2019 (qui sotto allegata) dichiarando l'illegittimità dell'art. 73, primo comma, del Testo unico sugli stupefacenti (d.P.R. n. 309/1990) là dove prevede come pena minima edittale la reclusione di otto anni invece che di sei. Resta inalterata, invece, la misura massima della pena fissata in venti anni di reclusione, applicabile ai fatti più gravi.


La Corte ripercorre sommariamente l'articolata evoluzione legislativa e giurisprudenziale in materia, rilevando un'anomalia sanzionatoria tra la pena per fatti lievi e quella per fatti non lievi in contrasto con i principi di eguaglianza, proporzionalità, ragionevolezza (articolo 3 Cost.), oltre che con il principio della funzione rieducativa della pena (articolo 27 Cost.).

L'anomalia sanzionatoria tra fatti lievi e non lievi

La disposizione censurata punisce con la pena edittale minima di otto anni di reclusione i casi "non lievi" di coltivazione, produzione, fabbricazione, estrazione, raffinazione, vendita, offerta o messa in vendita, cessione o ricezione, a qualsiasi titolo, distribuzione, commercio, acquisto, trasporto, esportazione, importazione, procacciamento ad altri, invio, passaggio o spedizione in transito, consegna per qualunque scopo o comunque di illecita detenzione, senza l'autorizzazione di cui all'art. 17 e fuori dalle ipotesi previste dall'art. 75 (casi di destinazione all'uso personale), di sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle I e III previste dall'art. 14 (cosiddette droghe "pesanti") dello stesso d.P.R. n. 309 del 1990.

La Consulta rammenta, tuttavia, che l'esistente divaricazione di ben quattro anni venutasi a creare tra il minimo edittale di pena previsto per i fatti non lievi (otto anni, ex art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309/1990) e il massimo edittale della pena stabilito per quella di lieve entità (quattro anni, ex comma 5 dello stesso art. 73), la quale "ha raggiunto un'ampiezza tale da determinare un'anomalia sanzionatoria".

Molti casi in materia, rammenta la Consulta, si collocano in una "zona grigia", al confine fra le due fattispecie di reato, il che rende non giustificabile l'ulteriore permanenza di un così vasto iato sanzionatorio, evidentemente sproporzionato sol che si consideri che il minimo edittale del fatto di non lieve entità è pari al doppio del massimo edittale del fatto lieve.

L'ampiezza del divario sanzionatorio, spiega la Corte, condiziona inevitabilmente la valutazione complessiva che il giudice di merito deve compiere al fine di accertare la lieve entità del fatto, con il rischio di dar luogo a sperequazioni punitive, in eccesso o in difetto, oltre che a irragionevoli difformità applicative in un numero rilevante di condotte.

La dichiarazione di incostituzionalità

La dichiarazione di incostituzionalità giunge a seguito di un precedente intervento (sent. n. 179/2017) con cui la Corte aveva già invitato il legislatore a risanare la frattura venutasi a creare tra le pene per i fatti lievi e per i fatti non lievi, previste, rispettivamente, dai commi 5 e 1 dell'articolo 73 del d.P.R. 309/1990.

Essendo tale invito rimasto inascoltato, il Supremo Consesso nomofilattico ha ritenuto ormai indifferibile il proprio intervento per correggere l'irragionevole sproporzione, più volte segnalata dai giudici di merito e di legittimità.

La misura della pena individuata (6 anni), benché non costituzionalmente obbligata, non è ritenuta arbitraria: essa si ricava da previsioni già rinvenibili nell'ordinamento, specificamente nel settore della disciplina sanzionatoria dei reati in materia di stupefacenti, e si colloca in tale ambito in modo coerente alla logica perseguita dal legislatore.

In pratica, la pena di sei anni è stata ripetutamente indicata dal legislatore come misura adeguata ai fatti "di confine", che nell'articolato e complesso sistema punitivo dei reati connessi al traffico di stupefacenti si pongono al margine inferiore delle categorie di reati più gravi o a quello superiore della categoria dei reati meno gravi.

In tale contesto, è appropriata la richiesta di ridurre a sei anni di reclusione la pena minima per i fatti di non lieve entità di cui al comma 1 dell'art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, al fine di porre rimedio ai vizi di illegittimità costituzionale denunciati.

Tuttavia, conclude la Corte, non costituendo la misura sanzionatoria indicata una opzione costituzionalmente obbligata, resta soggetta a un diverso apprezzamento da parte del legislatore sempre nel rispetto del principio di proporzionalità.

Scarica pdf Corte Costituzionale, sent. 40/2019

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