di Annamaria Villafrate - La Cassazione, con la sentenza n. 10657/2019 dichiara inammissibile il ricorso di un soggetto sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari che chiede di poter intrattenere rapporti sessuali e affettivi con la fidanzata. Per la Corte infatti, il provvedimento con cui il giudice, ai sensi dell'art. 282 comma 2 c.p.p può disporre il divieto per il soggetto sottoposto agli arresti di comunicare con persone diverse dai conviventi, non solo ha una sua autonomia, ma risponde a precise finalità cautelari consistenti nel voler impedire la commissione di ulteriori reati da parte di chi ne è assoggettato.
La vicenda processuale
Un soggetto condannato alla misura cautelare degli arresti domiciliari, con la disposizione aggiuntiva del divieto di comunicare con soggetti con lui conviventi, ricorre avverso l'ordinanza del Tribunale del Riesame. Questa autorità giudiziaria ha respinto l'appello contro l'ordinanza del giudice di secondo grado, che ha negato l'autorizzazione avanzata dal soggetto sottoposto a misura cautelare di ricevere, nel luogo di detenzione, le visite della fidanzata, per poter intrattenere con la stessa una relazione di natura affettiva e sessuale. Il cautelato ritiene il provvedimento affetto da vizio di violazione di legge e di motivazione per quanto riguarda la sussistenza delle esigenze cautelari. Il provvedimento impugnato non avrebbe tenuto conto del fatto che norme internazionali riconoscono al soggetto ristretto il diritto di coltivare relazioni affettive.
Il diritto di coltivare relazioni affettive non vale per le misure cautelari
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10657/2019 precisa che "gli artt. 15 e 28 della legge di ordinamento penitenziario - che danno attuazione ai precetti costituzionali di cui agli artt. 27, comma 3, e 29 Cost. ed esprimono il medesimo affiato dei documenti internazionali evocati dal ricorrente -, non sono suscettibili di travaso nella diversa materia delle misure cautelari personali, posto che queste rispondono a finalità ed a modalità attuative diverse rispetto a quelle che informano l'esecuzione della pena."
La Cassazione precisa che il comma 2 dell'art 284 c.p.p, che disciplina gli arresti domiciliari
e attribuisce al giudice la possibilità di imporre "limiti o divieti alla facoltà dell'imputato di comunicare con persone diverse da quelle che con lui coabitano o che lo assistono" - "deve essere interpretata come sintomo della voluntas legis di escludere che tale preteso diritto sia bilanciabile con le esigenze cautelari sottese alla restrizione preventiva della libertà personale: considerazione, questa, avvalorata dalla constatazione che, invece, proprio nel comma successivo dell'articolo menzionato, il legislatore ha ritenuto, parzialmente bilanciabili con quelle cautelari, le - indispensabili esigenze di vita - dell'imputato ovvero - la situazione di assoluta indigenza in cui questi versa - in funzione della concessione dell'autorizzazione ad assentarsi dal luogo di detenzione."La misura con cui il giudice dispone il divieto di comunicare con persone diverse da quelle con cui il soggetto sottoposto a misure cautelari coabita o è assistito, risponde a precise esigenze di natura processuale e preventiva. Finalità che si traducono nella necessità di evitare la commissione di ulteriori reati della stessa specie di quelli a carico del soggetto sottoposto alla misura cautelare domiciliare.
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