di Lucia Izzo - Nell'interpretazione del testamento deve aversi riguardo alla volontà espressa da testatore nella scheda testamentaria, potendosi ricorrere a elementi estrinseci solo per risolvere parole o espressioni dubbie al solo scopo di ricostruire l'effettiva intenzione del suo autore, mentre rimane precluso all'interprete avvalersi di tali dati estrinseci per giungere al risultato di attribuire alla disposizione testamentaria un contenuto nuovo, in quanto non espresso nel testamento.
È il principio di diritto precisato dalla Corte di Cassazione, seconda sezione civile, nella sentenza n. 7025/2019 (qui sotto allegata).
- Il caso
- L'interpretazione del testamento e la volontà del testatore
- La lettera dattiloscritta non può integrare il testamento
Il caso
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Gli originari ricorrenti hanno esposto che la testatrice aveva assegnato alcuni immobili all'arcidiocesi, a titolo di legato, "per fini di culto e di religione" precisando, con una successiva missiva, che sarebbero dovuti servire quale ricovero per i sacerdoti poveri e per mantenerli.
Tuttavia, dopo un periodo di gestione per la cura di preti poveri, l'appartamento veniva trasformato in diversi mini locali poi affittati a terzi e, secondo gli eredi, tale nuova destinazione contravveniva all'onere imposto dalla testatrice. Da qui la richiesta di disporre la risoluzione della disposizione testamentaria di legato per inadempimento del modus in essa contenuto.
La domanda veniva accolta dal giudice di prime cure, stante l'inadempimento dell'onere, e confermata dalla Corte d'Appello: in particolare, secondo il giudice del gravame, al fine di ricostruire la volontà della testatrice, correttamente il Tribunale aveva utilizzato e valorizzato la lettera dalla stessa inviata alla Curia e con cui spiegava cosa intendeva con la locuzione fini di culto e di religione apposta al legato.
Inoltre, poiché tale clausola era stata qualificata come modus, era evidente che la legataria non vi aveva adempiuto, trasformando l'appartamento in mini alloggi che aveva poi locato a terzi.
In Cassazione, tale conclusione è ritenuta dall'Arcidiocesi contraria al principio secondo cui i documenti estranei al testamento possono essere utilizzati per interpretare la volontà del de cuius, ma mai per integrarla.
In particolare, si evidenzia come la lettera della defunta non fosse autografa, ma dattiloscritta e che la disposizione testamentaria che conteneva un legato semplice era stata erroneamente trasformata in un legato modale.
L'interpretazione del testamento e la volontà del testatore
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Gli Ermellini rammentano che l'interpretazione del testamento si caratterizza, rispetto a quella contrattuale, da una più penetrante ricerca della volontà del testatore, al di là della mera dichiarazione, la quale, alla stregua dell'art. 1362 c.c., va individuata sulla base dell'esame globale della scheda testamentaria, e non di ciascuna singola disposizione.
Inoltre, al fine di superare eventuali dubbi sull'effettivo significato di parole ed espressioni usate dal testatore, deve farsi riferimento anche a elementi estrinseci alla scheda stessa, come la cultura, la mentalità, le abitudini espressive e l'ambiente di vita del testatore medesimo.
In tal modo il giudice del merito, il cui accertamento è insindacabile in sede di legittimità se immune da vizi logici e giuridici, nella doverosa ricerca di detta volontà, potrà attribuire alle parole usate dal testatore un significato diverso da quello tecnico e letterale, quando sia evidente, nella valutazione complessiva dell'atto, che esse siano state adoperate in senso diverso, purché non contrastante e antitetico, e si prestino ad esprimere in modo più adeguato e coerente la reale intenzione del de cuius (Cass. n. 10075/2018).
Tuttavia, il rispetto dei criteri ermeneutici che mirano alla ricostruire l'effettiva volontà del testatore come espressa nel testamento impedisce qualsiasi operazione che porti ad integrare, sulla base dei suddetti elementi valutativi, ab extrinseco tale volontà, attribuendo ad essa contenuti inespressi ovvero diversi da quelli risultanti dalla dichiarazione stessa.
La lettera dattiloscritta non può integrare il testamento
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Nel caso di specie, il Collegio ritiene che la Corte territoriale non si sia attenuta a tali principi, dal momento che, pur svolgendo le sue considerazioni su un terreno apparentemente interpretativo, nel concreto ha utilizzato la missiva scritta dalla testatrice non già per chiarire cosa la signora intendesse con la dicitura "a fini di culto e di religione" apposta al legato, ma per attribuire a essa un contenuto particolare e specifico, vale a dire che l'appartamento da lei abitato doveva essere destinato ad ospitare preti poveri e il reddito degli altri beni fosse destinato al loro sostentamento.
Il risultato dell'interpretazione, spiega la Cassazione, è così consistito in un'operazione diretta non già a ricostruire la volontà della testatrice come espressa nel testamento, ma ad integrarla, attribuendole un significato non certo in antitesi, ma comunque nuovo rispetto a esso, dal momento che non vi era espresso.
Tuttavia, l'operazione di integrazione della volontà della testatrice in forza della lettera risultava preclusa dalla natura e caratteristiche di tale missiva che, pacificamente, era dattiloscritta e quindi non olografa, sicché essa non aveva i requisiti di forma per potere avere un'efficacia integrativa del testamento. La sentenza va dunque cassata con rinvio.
Scarica pdf Cass., II civ., sent. n. 7025/2019• Foto: 123rf.com