Diffamazione: aspetti penalistici
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L'ordinamento con queste norme si prefigge di tutelare il rispetto della personalità sociale dei consociati. Attraverso la previsione del reato di diffamazione si tutela la reputazione, mentre la fattispecie dell'ingiuria tutela anche l'opinione che il soggetto ha di se stesso. Il codice previgente distingueva le due figure secondo che l'offesa consistesse o meno nell'attribuzione di un fatto determinato. Il codice attuale considera tratto distintivo dell'ingiuria la presenza della persona offesa, si ha diffamazione, invece, quando la persona offesa è assente. L'attribuzione di un fatto determinato è ora un'aggravante. Per la consumazione del reato è necessario, in entrambi i casi, che l'espressione offensiva giunga a conoscenza di un'altra persona. Se il delitto di diffamazione è commesso col mezzo della stampa le disposizioni anzidette si applicano anche al direttore o vice-direttore responsabile, all'editore e allo stampatore, per i reati previsti negli articoli 57, 57-bis e 58 c.p.
La diffamazione è un fatto più grave dell'ingiuria per la maggiore entità del danno, derivante dalla comunicazione a più persone di fatti lesivi dell'onorabilità. In sostanza, la diffamazione a mezzo stampa
è di per sé un'aggravante per l'ampiezza della diffusione del mezzo di comunicazione adoperato. In generale, l'art. 595 c.p. attribuisce la competenza al Giudice di Pace, la procedibilità a querela. L'arresto e il fermo non sono consentiti. E' prevista la citazione diretta a giudizio o qualora ne ricorrano le condizioni, e il decreto penale di condanna per le ipotesi di competenza del tribunale monocratico.La diffamazione a mezzo stampa
Se è complesso il tema della querela in caso di diffamazione in generale, quella a mezzo stampa presenta ulteriori complicazioni processuali. Innanzi tutto è penalmente perseguibile solo a querela della persona offesa (art 597 c.p.), quindi si è discusso, in dottrina e in giurisprudenza chi sia legittimato ad agire qualora l'offeso sia un ente collettivo (problema che riguardava in particolare le società di persone e altri enti collettivi, caso in cui è prevalso l'orientamento che sia legittimato il rappresentante legale, non un appartenente qualunque all'organizzazione collettiva). Inoltre è stato vivacemente discusso il tema dell'individuazione dell'ufficio giudiziario competente. Nel caso della diffamazione a mezzo stampa si ritiene concordemente che il giudice sia quello del luogo di prima diffusione dello stampato. Se occorreva risalire alla legge 374/39, per ricostruire che si trattasse del luogo di consegna delle copie d'obbligo, dopo la legge 106/2004 rileva il luogo della stampa o della prima consegna all'edicola. Nel caso delle diffamazioni con mezzo televisivo c'è una disposizione espressa: per l'art. 30 della legge 223/90 il foro competente è quello del luogo di residenza della persona offesa.
Per quel che riguarda la diffamazione su internet, ad aprile dell'anno scorso la Corte d'Appello di Torino ha stabilito: "L'art. 57 c.p., che prevede la responsabilità penale, a titolo di colpa, del direttore o vice direttore responsabile che omette di esercitare sul contenuto del periodico da lui diretto il controllo necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati, non è applicabile al gestore di un blog".
Per non parlare della Cassazione che nel 2008 (sentenza n. 10535) esclude l'equiparazione del blog alla stampa giustificandone, quindi, il sequestro e nel 2010 (sentenza 35511) riconosce che "l'art. 57 c.p. non è applicabile al c.d. giornale telematico". Insomma, l'incertezza c'è e forse la possibilità di valutare seriamente un accordo che contemplasse la tutela dei reali interessi, non sarebbe da escludere a priori.
Diffamazione: aspetti civilistici
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La lesione del bene produce un danno che può essere risarcito in forma specifica con la rettifica, ma anche indennizzato per equivalente sia in sede penale (con la costituzione di parte civile) sia in sede civile o con l'azione per il risarcimento del danno cagionato da un fatto illecito (ex art. 2043 cc). Questa è la via diventata più frequente, è più agevole infatti provare l'elemento psicologico di chi ha commesso il danno.
La giurisprudenza della Suprema Corte sostiene che, mentre penalmente occorre dimostrare il dolo, civilmente la tutela si può estendere anche alle condotte colpose (Cass. 15 gennaio 2005 n. 729, Cass 18 marzo 2005 n. 5677).
Il risarcimento del danno non patrimoniale non richiede che la responsabilità dell'autore del fatto illecito sia accertata in un procedimento penale, in quanto l'interpretazione conforme a costituzione dell'art. 2059 (cfr. Corte Cost. Sent. 233/2003) comporta che il riferimento all'art 185 cp comprende tutte le fattispecie corrispondenti nella loro oggettività alla astratta previsione di una figura di reato; inoltre il danno non patrimoniale non può essere identificato soltanto con il danno morale soggettivo, costituito dalla sofferenza contingente e dal turbamento intimo transeunte, determinato dal fatto illecito integrante reato, ma va inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ingiusta lesione di un valore inerente la persona, costituzionalmente garantito, dalla quale conseguano pregiudizi non suscettibili di valutazione economica, senza soggezione al limite derivante dalla riserva di legge correlata all'art. 185 c.p. (Cassazione19 ottobre 2005 n. 20205).
E' dato rivolgersi all'autorità giudiziaria anche quando l'offesa non è voluta, ma conseguenza della leggerezza dell'agente. Se però manca la prova del danno, la domanda di risarcimento viene respinta. Si assiste quindi ad un passaggio dal penale al civile per la tutela dei delitti contro l'onore, perché mentre esiste la necessità di provale il dolo in sede penale, si ha la sufficienza della colpa in ambito civile. La misurabilità della verità del fatto appare in sede civile richiede termini meno rigorosi. Si prospettano però ulteriori questioni problematiche, se è, relativamente, semplice quantificare i danni patrimoniali difficile è individuare il danno non patrimoniale.
Il danno non patrimoniale
Per definizione, il danno non patrimoniale non è quantificabile economicamente in base a parametri oggettivi, tuttavia è protetto dalla previsione dell'art. 2043 cc che tutela ogni interesse giuridicamente rilevante.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono espresse sulla risarcibilità del danno morale ex art. 2059c.c. ribadendo che il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi previsti dalla legge, i quali si dividono in due gruppi: le ipotesi in cui la risarcibilità è prevista in modo espresso (fatto illecito integrante reato) e quello in cui la risarcibilità, pur non essendo prevista da norma di legge ad hoc, deve ammettersi sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 cod. civ., per avere il fatto illecito vulnerato in modo grave un diritto della persona direttamente tutelato dalla legge. Nella medesima sentenza è stato aggiunto che il danno non patrimoniale costituisce una categoria ampia ed onnicomprensiva, all'interno della quale non è possibile ritagliare ulteriori sotto categorie. Pertanto il c.d. danno esistenziale, inteso quale "il pregiudizio alle attività non remunerative della persona" causato dal fatto illecito lesivo di un diritto costituzionalmente garantito, costituisce solo un ordinario danno non patrimoniale, che non può essere liquidato separatamente sol perché diversamente denominato (Cassazione SU 26972/2008).
Questa storica sentenza riconosce come danno esistenziale qualunque compromissione delle attività in cui si realizza la personalità di un individuo, non presuppone la lesione fisica (danno biologico) non presuppone una semplice sofferenza soggettivamente intesa (danno morale). Rileva il disagio di chi subisce il danno da parte del soggetto agente, come nelle fattispecie diffamatorie.
In seguito "Il danno c.d. esistenziale, non costituendo una categoria autonoma di pregiudizio, ma rientrando nel danno morale, non può essere liquidato separatamente solo perché diversamente denominato. Il diritto al risarcimento del danno morale, in tutti i casi in cui è ritenuto risarcibile, non può prescindere dalla allegazione da parte del richiedente, degli elementi di fatto dai quali desumere l'esistenza e l'entità del pregiudizio" (Cass SU n. 3677/2009).
Mediazione e diffamazione
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La mediazione in tema di diffamazione è per il decreto 28/2010 una condizione preliminare di procedibilità per chi voglia introdurre in giudizio un'azione di risarcimento danni da diffamazione. La ratio di questa previsione è illustrata dalla relazione al D.lgs secondo la quale si sono prescelti i rapporti particolarmente conflittuali, rispetto ai quali, anche per la natura della lite, è particolarmente più fertile il terreno della composizione stragiudiziale tali controversie appaiono più facilmente mediabili e sono inoltre caratterizzate da una complessità che può essere più facilmente dipanata in ambito stragiudiziale.
È di tutta evidenza come, nella vita comune, la diffamazione sia un fenomeno di comunicazione distorta, causa ed effetto di una relazione problematica.
Laddove si voglia gestire un conflitto e conservare una relazione, si apre il campo alla mediazione, dove un terzo imparziale, vincolato alla riservatezza, ha il compito di facilitare una composizione fra le parti della questione. Astraendo dagli infiniti casi concreti, le difficoltà in tema di diffamazione riguardano aspetti legati all'incertezza della responsabilità a carico dell'agente, mentre la responsabilità penale è personale; all'incertezza circa il quantumdel risarcimento; comportano non trascurabili riflessi sulle spese legali e soprattutto vi è un interesse alla riservatezza e un interesse alla relazione che può essere condiviso o no dai soggetti coinvolti ed è tanto importante per i personaggi celebri quanto per rapporti di lavoro delle persone comuni.
Spesso le pretese che si sostengono sono frutto di un'aspettativa più alta di quanto realmente si possa ottenere come risarcimento in tribunale.
La mediazione si presenta quindi come una soluzione a questi problemi, specialmente perché offre la possibilità delle sessioni separate, in cui si passa dalla trattativa faccia a faccia con la controparte a una negoziazione con il mediatore che sa a quanto le parti potrebbero realmente concludere un accordo[i]. (Al di là della decisione giuridica della causa, impregiudicate restano proprio le questioni relative alla relazione fra le parti coinvolte. Non si può sapere quanto la sentenza soddisfi le parti, e reintegri la stima sociale o l'autostima. La mediazione può essere un mezzo per non perpetuare rancore.
Dott.ssa Laura Bianchi
Dpl Mediazione
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Milano
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